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Ristoratori calabresi già all'opera per la Fase 2: "Ma la normalità non c'è"

Sono stati giorni di lavoro serrato quelli trascorsi dagli esercenti calabresi alle prese con la necessità di adeguare le proprie attività alle norme anti-contagio. Qualcuno ha deciso, per la verità, di lasciar perdere preferendo non spendere un euro e rinviare l'apertura a tempi migliori.

Ma la maggior parte ha deciso di provarci e oggi alzeranno la serranda bar, lidi, ristoranti, parrucchieri e negozi. Ancora fino a ieri sera gestori e titolari sono stati impegnati a sanificare locali e arredi, a prendere le misure per garantire il distanziamento sociale tra tavolini e ombrelloni, cercando di individuare i luoghi migliori dove installare i dispenser di gel sanificanti e di guanti monouso.

I ristoratori sono stati tra quelli che in queste settimane di trattative hanno espresso perplessità su misure di sicurezza che avrebbero rischiato di snaturare l'essenza stessa di un'uscita al ristorante e di renderne insostenibile l'attività, visto che il distanziamento ridurrà inevitabilmente gli spazi destinati ai tavoli. Proprio ieri la presidente del Consorzio di qualità della ristorazione calabrese Assapori, Concetta Greco, ha sottolineato la prudenza della categoria rispetto a una fase che si apre all'insegna delle incognite.

« L'entusiasmo - ha affermato - è pari a quello di ogni inizio, la passione è quella di sempre. Il rischio però è che l'impatto con il nuovo quotidiano possa riservare più di qualche dispiacere». A suo avviso difficilmente le cose potranno tornare nell'immediato come prima, «almeno fino a quando non si avrà la certezza di avere sconfitto questo nemico. Serviranno - ha aggiunto - un vaccino, cure mirate e la condivisione di norme igieniche e comportamentali».

Finora molti ristoranti hanno lavorato con la consegna a domicilio. E Greco non esclude che fino a quando non si tornerà alla normalità, il sistema possa proseguire. «Questa metodologia - ha spiegato - potrà costituire ancora una possibile nicchia di mercato, utile per continuare a tenere viva la testimonianza del cibo buono e ben fatto, dando la possibilità di lavorare a chi magari non può altrimenti rispettare le prescrizioni».

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