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Calabria, il ritorno dei cattolici in politica: "Ma non chiamateci Dc"

Monsignor Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra

Arginare il vento populista che soffia forte nel Paese e ridare fiato a un mondo ormai rimasto quasi privo di rappresentanza. Il fermento dei cattolici non lascia indifferente monsignor Vincenzo Bertolone, dal 2011 a capo della diocesi di Catanzaro-Squillace. Da sempre sensibile ai richiami della società, l’agrigentino Bertolone, 72 anni compiuti a novembre, che dal 2015 è anche presidente della Conferenza episcopale calabra, prova a fornire una interpretazione dell’attivismo dei cattolici in queste ultime settimane. Recentemente a Lamezia i promotori di questa iniziativa - nessuno, tra i diretti interessati, osa definirlo ancora un vero e proprio partito - si sono ritrovati per una riflessione a più voci coordinata da monsignor Domenico Graziani, arcivescovo della diocesi di Crotone-Santa Severina.

Il 18 gennaio, invece, a Catanzaro è in programma una giornata di studi e dibattiti incentrati sulla figura di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare. Insomma, qualcosa si è messo in movimento. E la “benedizione” della Cei all’operazione conferma quanto Oltretevere si guardi con interesse a un ritorno dei cattolici sulla scena politica italiana. Tanto da spingere il cardinale Gualtiero Bassetti, numero uno della Conferenza episcopale italiana, ad affermare che i cattolici «non possono non dare il proprio contributo» in quanto «sono tra i cosiddetti “soci fondatori” della Repubblica italiana». Il riferimento è a don Sturzo, ma anche a personaggi come Dossetti, La Pira, Fanfani, Lazzati, protagonisti per lunghi decenni della vita politica del nostro Paese.

Monsignor Bertolone, in questi ultimi mesi hanno emesso il loro vagito forum, associazioni, scuole di formazione. C'è ancora bisogno dell'impegno dei cattolici in politica?

«Nelle Chiese particolari non si è mai smesso di formare i cristiani all’impegno sociale e politico, secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa. Come scrisse Giovanni Paolo II nella Christifideles laici, nel credente “non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura”. Per Papa Francesco un buon cattolico si impegna in politica offrendo il meglio di sé».

Alcuni vagheggiano un ritorno della Democrazia cristiana. Lei considera che ci sia spazio per una formazione politica di questo tipo?

«Premesso che non mi occupo di politica in senso stretto, ritengo che il richiamo al passato sia da evitare, perché la situazione è profondamente cambiata e non solo in Italia. Però mi sembra importante che una forza politica di ispirazione cristiana si proponga per stimolare e promuovere impegno, dialogo e aggregazione, puntando sui valori etici come responsabilità, sussidiarietà, solidarietà, legalità ed inclusione».

Come si possono declinare, a un secolo esatto di distanza dall'appello “ai liberi e forti” di don Sturzo, i valori del popolarismo nelle istituzioni?

«In don Sturzo il concetto evangelico di fraternità si traduceva nel concetto politico di solidarietà. Il 18 gennaio 1919, un gruppo di cattolici militanti, guidati da don Luigi Sturzo, lanciò al Paese un appello per la fondazione del Partito Popolare Italiano, appello che ebbe enorme successo. Auspico che il centenario, come indicato dal cardinale Bassetti, sia di spinta a un’interpretazione attualizzata di quell’appello tale da provocare uno scossone così come avvenne un secolo fa con il “dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi, né preconcetti».

Oggi la Chiesa è minoritaria su molti temi. Come spiega questa perdita di appeal?

«Papa Francesco, nella sua azione di riforma, ci ricorda che solo “il Dio affidabile dona agli uomini una città affidabile”. Detto altrimenti, si perde “appeal” quando si viene percepiti meno affidabili, dimenticando che la vera affidabilità proviene da Dio».

Un ritorno dei cattolici in politica potrà avere ripercussioni positive sul “ripopolamento” delle Chiese?

«Sotto il profilo quantitativo le aule liturgiche non sono troppo affollate, ma questo non è di certo il metro per contare le persone: cattolicesimo è liturgia, ma è anche annuncio, solidarietà cristiana, azione socioculturale, animazione giovanile… In questo senso, le Chiese non soffrono di “spopolamenti”».

In Calabria chi sono e chi potrebbero essere i vostri interlocutori?

«La Chiesa ha sempre dialogato con tutti. Se dei cattolici decideranno di agire politicamente si rapporteranno con ogni tipo di struttura impegnata nella solidarietà civile con la quale condividano quei valori etici dalla valenza universale, quali il primato della dignità e della vita della persona, la concezione del potere come servizio, la giustizia sociale la equa divisione dei beni».

Qual è il partito in sintonia con il mondo che lei rappresenta?

«I partiti non esistono. A riguardo trovo significativo il pensiero di Norberto Bobbio: “La nostra democrazia è minata. E i nostri rappresentanti mi fanno l'effetto di minatori incoscienti che si mettono a fumare sigarette in una miniera piena di grisou”. Si è smarrito il senso dell’unità e le istituzioni sono viste quasi ostili, inutili, distanti. Vorrei ribadirlo: oggi prevalgono ideali movimentisti, che attraggono molti voti, tali da spostare milioni di elettori, ma il partito più numeroso è quello dei non votanti. Perciò se un partito di cattolici dovesse nascere potrebbe rivolgersi a questo elettorato con preparate, con proposte semplici, con promesse credibili e sostenibili volte ad affrontare le gravi inefficienze della burocrazia, le tasse elevatissime, i problemi della povera gente, i troppi gangli della corruzione, il recupero del rapporto vitale tra legge e bene comune, tra diritti e doveri e della partecipazione alla vita pubblica e sociale. Traguardi difficili, ma dai quali un cristiano non deve abdicare se non vuole arrendersi di fronte alla triste evidenza descritta da Pier Paolo Pasolini: “In Italia il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili”».

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