Si dovrà rivotare in 4 sezioni su 78 a Lamezia Terme, ma fino a quando in questi seggi non si tornerà alle urne a reggere il Comune sarà nuovamente un commissario prefettizio. È l’effetto immediato di quanto ha deciso il Tar della Calabria l’11 dicembre , che, accogliendo parzialmente i ricorsi presentati da due ex candidati a sindaco, ha annullato il verbale di proclamazione degli eletti relativo alla tornata del 10 novembre 2019 provocando, di fatto, la cessazione dalla carica del sindaco Paolo Mascaro, della sua Giunta e dell’intero Consiglio comunale. il Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato «l’illegittimità delle operazioni elettorali» svolte nelle sezioni 2, 44, 73 e 78 disponendone «l’annullamento e la conseguente rinnovazione», il che significa che il risultato venuto fuori un anno fa dalle altre 74 sezioni rimane invariato e a quello si dovrà sommare il nuovo esito delle 4 sezioni annullate.
Parola al Tar
Secondo il Tar c’è «il fondato sospetto» che nei 4 seggi in cui si dovrà rivotare siano stati commessi «fatti penalmente rilevanti». I giudici amministrativi fanno esplicito riferimento al «sistema della “scheda ballerina”» nelle motivazioni della sentenza che ha azzerato l’amministrazione comunale e, per questo, hanno ritenuto di «dover trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per le determinazioni di competenza». Alla guida del Comune il 16 dicembre arriva il prefetto Giuseppe Priolo, chiamato a reggere l’ente fino alle elezioni parziali. Amaro il commento di Mascaro: «Sono la storia più travagliata d’Italia per quanto riguarda la carica di sindaco. È la terza volta che devo andare via e lasciare il mio ufficio di primo cittadino, ma sarà la quarta volta che ritornerò fra un paio di mesi».
Tempi duri
Tempi duri per la politica anche sotto il profilo della giustizia penale. Il 15 dicembre finisce sotto inchiesta per peculato e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio l’ex consigliere regionale di Forza Italia Claudio Parente; assieme a lui due consiglieri comunali di Catanzaro: Giuseppe Pisano e Francesco Gironda. Al centro della vicenda la convenzione tra l’amministrazione comunale e la “Vivere Insieme” società fondata da Parente e di cui il politico, nonostante le dimissioni, avrebbe mantenuto il controllo. Con quel provvedimento di oltre 20 anni fa l'ente concedeva alla associazione il diritto di superficie per 80 anni (ora esteso a 92) un'area di circa 36.000 mq, nel quartiere Corvo per la realizzazione di alcuni impianti sportivi e di un centro sanitario. A distanza di 21 anni il progetto non ha mai visto la luce. Nel 2018 però è tornato in ballo nel “bando periferie” del governo. Il 13 settembre di quell’anno si riunì «con urgenza» il Consiglio comunale per approvare la delibera che determinava «la cessione in piena proprietà dell’area alla associazione». Il passaggio in Consiglio sarebbe stato preceduto da altri due provvedimenti a firma del consigliere regionale. L’1 agosto entrarono nella sua struttura il fratello di Gironda e la convivente di Pisano.
Le indagini
Le indagini, condotte dalla Guardia di Finanza, mettono in relazione i due avvenimenti nel quadro di un presunto accordo corruttivo fra i tre: Parente per l’accusa è risultato essere amministratore de facto della Vivere insieme, mentre Gironda e Pisano avrebbero assecondato i suoi desiderata ottenendo le due assunzioni. Al fine di ricompensare i consiglieri, Parente si sarebbe quindi appropriato di fondi regionali destinati alla struttura speciale, utilizzandoli indebitamente. La somma sequestrata, 37.682,80 sarebbe il profitto del peculato realizzato da Parente e corrisponde ai compensi erogati dal Consiglio regionale ai congiunti di Pisano e Gironda.
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