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Nardodipace ricorda la devastante alluvione registrata nel 1951

Viaggio nel paese “fantasma” del Vibonese

L’antropologo Vito Teti nella chiesa di Nardodipace

Settant’anni fa la storia di Nardodipace ha preso la strada della montagna, una via stretta e tortuosa che sale fino a mille metri. Lì, nel piano di Ciano, il “nuovo” abitato, si è fermata dopo l’alluvione del 1951, la grande ferita delle popolazioni della valle dell’Allaro all’estremo confine meridionale della provincia di Vibo. In pochi giorni caddero 1760 mm di pioggia e fu la distruzione per un territorio già fragile.

Nardodipace era divisa in tre: quello che oggi è il “vecchio abitato”, Ragonà e San Todaro. Dopo l’alluvione, con la costruzione – in appena tre anni – della “nuova” Nardodipace, la comunità si frammentò ulteriormente. I centri divennero 5: il “vecchio”, il “nuovo”, San Todaro, Ragonà e il suo “nuovo” doppio, Cassari. Il «paese», però, rimase sempre quello giù in collina. Il “vecchio” abitato fantasma che si è ripopolato per qualche ora ricordando la tragica calamità e la diaspora degli anni successivi.

Non c’è una documentazione storica consistente sull’alluvione. «Probabilmente – ha ricordato il sindaco Antonio Demasi in una chiesa gremita – molti documenti sono andati bruciati in un incendio». Non c’era la tv, ma restano gli indimenticabili articoli dello scrittore Sharo Gambino, allora giovane cronista poi divenuto grande narratore di questi luoghi.

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