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Lamezia, il vescovo ricorda monsignor Moietta nel 60esimo anniversario della morte

“Vi comunico di avere in animo, con i tempi e le modalità che la Chiesa rigorosamente prevede, di fare quanto necessario all'avvio di un'inchiesta diocesana sull'eroicità delle virtù di questo Pastore, perché - se è volontà di Dio e non solo un nostro pio desiderio - il suo esempio possa un giorno assurgere all'onore degli altari”. Questo l’annuncio del Vescovo, monsignor Serafino Parisi, nel ricordare monsignor Vittorio Moietta, nel corso della celebrazione eucaristica da lui presieduta per il 60/mo dell’anniversario della morte, già vescovo di Nicastro.

“Fin da quando ho fatto ingresso in Diocesi – ha detto il Vescovo - , non ho avuto difficoltà a cogliere la profonda ammirazione che ancora oggi i sacerdoti che lo hanno conosciuto e il popolo nutrono nei confronti di monsignor Vittorio Moietta. E tutto questo assume ancora più rilievo se si pensa che, a conti fatti, Moietta è stato vescovo di Nicastro per poco meno di due anni. Segno di una presenza breve ma profetica che ha lasciato un segno nel cuore del nostro popolo. Questo dice tanto e questo tanto ci deve interrogare”.

“Un vescovo tra la gente e per la gente – ha proseguito monsignor Parisi - . Questo cuore del pastore che si commuove della situazione del suo gregge, con il suo stile di prossimità, con il suo stile non baronale di interpretare l’episcopato. Perché il vescovo barone poteva anche fare comodo dentro quel servilismo diffuso ed invece  ha interpretato il suo servizio episcopale dentro la prossimità, per quella spiritualità sacerdotale di apertura che aveva, per quella tenerezza che aveva appreso dalla sua devozione mariana ‘presidio e rifugio sei per me Maria’, e poi ancora quella attenzione alla povertà del territorio, allo sviluppo autopropulsivo del nostro territorio”.

“Ma può un vescovo determinare tutte queste cose – ha chiesto il Vescovo - ? Sì, le può determinare perché nella figura di monsignor Moietta, che stiamo ricordando oggi, questo è stato così dentro i gangli vitali del popolo, in rapporto con le istituzioni, anche quelle del Nord che ha voluto chiamare qui per far crescere questo nostro territorio, a manifestare questa possibilità, queste occasioni, questa forza che ancora dobbiamo seguire”.

Ma “l’ultimo tratto dello sguardo completo alla storia della salvezza di questo vescovo – ha concluso monsignor Parisi - è stata l’offerta ed anche lo stile con il quale ha accettato la sua malattia. È morto alle soglie di 50 anni: li avrebbe compiuti il 7 aprile 1963 ed è morto il 1 aprile del 1963, sei giorni prima dei 50 anni, con una prospettiva davanti. É venuto qui e qui ha offerto la sua sofferenza vivendola come un’apertura al mistero di Dio. Morire a due anni dall’elezione episcopale è come dire al Signore: guarda che la parola ultima non è la mia, ma la parola ultima, che è anche la prima, è solo Tua. Per cui spazio alla parola, spazio alla realizzazione del mistero di salvezza di Dio. Quella morte a quell’età e in quelle circostanze è, ancora una volta, un’offerta della propria vita perché, mettendosi da parte, ha lasciato fare a Dio”.

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