Una tragica eredità, una tradizione criminale che si perpetua, da una parte i carnefici e dall’altra le vittime, le stesse famiglie generazione in generazione. L’inchiesta “Big Bang” mostra quanto radicato fosse il giogo mafioso nei territori al confine tra le province di Catanzaro e Crotone. Le estorsioni passano di padre in figlio. Così raccontano gli imprenditori costretti a versare il “fiore” agli emissari del clan da decenni. È il caso di un imprenditore che ha raccontato di aver iniziato a pagare nel 1976 e ora che l’azienda è nelle mani del figlio è lui a versare circa trecento euro nella “bacinella” della cosca. Identica storia per un altro imprenditore che negli anni 90 appena avviata la sua attività ha trovato un bidone con del liquido infiammabile ed un accendino. «Subito dopo ricevevo delle telefonate che mi intimavano il pagamento di un pizzo». Anche il fratello ricorda bene l’infermo vissuto: «Ricordo che con queste telefonate venivamo minacciati di morte con frasi del tipo: “...vi tagliamo la testa...”. Gli inquirenti lo chiamano «assoggettamento diffuso» che non si ferma neanche con la morte dell’aguzzino. Gli imprenditori raccontano infatti di aver iniziato a versare il pizzo nelle mani di Pietro Scerbo e di aver continuato a pagare anche dopo il suo omicidio avvenuto nel 2004 il nipote Mario Scerbo, senza mai fermarsi.
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