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Isola Capo Rizzuto: dalla droga agli affari, l’ascesa di Tarasi

Il gip di Brescia indica nel 34enne il presunto responsabile del sodalizio attivo nella Bergamasca. Avrebbe avuto a disposizione come “teste di legno” commercialisti e imprenditori compiacenti. Il giudice che ha emesso le misure: «È il fulcro e il principale promotore dell’intera attività criminale»

«C'ha quattro commercialisti novantenni che firmano al posto suo (...) novant'anni che gli devono fare a un commercialista di novant'anni? Niente!». Così Martino Tarasi, il presunto capo del gruppo criminale attivo nella Bergamasca e collegato alla cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto, raccontava, intercettato, come il commercialista Giovanni Tonarelli (in carcere con l’accusa di fare parte del clan) si preoccupasse «di non comparire personalmente», potendo «contare su collaboratori che gli facevano da "prestanome" per gli adempimenti più pericolosi».
Parole che delineano il ruolo di vertice che avrebbe ricoperto Martino Tarasi, ieri finito agli arresti con altre 32 persone (18 in carcere e 15 ai domiciliari, per complessivi 66 indagati), nell’ambito dell’operazione coordinata dalla Dda di Brescia che ha scoperto un ipotizzato giro di false fatturazioni per 20 milioni di euro all’ombra della famiglia Arena.
Martino Tarasi, marito della figlia di Giuseppe Arena, scomparso per “lupara bianca”, per gli inquirenti dopo aver operato nel campo dello spaccio di droga, avrebbe messo in piedi nella provincia di Bergamo e non solo un’organizzazione specializzata in reati «economico-finanziari con modalità standardizzate e professionali», con al centro una serie di società “cartiere”.

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