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Viaggio tra le edicole di Vibo, storie di carta sbiadita

Avviato lo smantellamento delle strutture: nel capoluogo resistono solo in cinque mentre già otto hanno chiuso. I titolari raccontano: non solo crisi e web, il settore affossato da tasse ed Enti indifferenti

Alla chiusura della storica edicola di via Dante Alighieri è seguito di recente lo smantellamento della struttura. Il Comune sta procedendo a liberare le aree occupate per non lasciare in giro manufatti in disuso e così cala il sipario sul capitolo dell’informazione pubblica da carta stampata. In tal modo a perdersi non è solo un motore economico, ma un mestiere e una tradizione.
Sono appena cinque al momento i chioschetti che resistono. Gli altri hanno cercato di vendere la licenza e per chi non ci è riuscito non è rimasto altro che consegnarla al Comune per evitare di continuare a pagare il suolo pubblico.
Negli ultimi anni ben 8 edicole hanno abbassato la serranda. La crisi dell’editoria? Forse, anche. Ma a dirla tutta, secondo i titolari la verità non ha un solo volto. Certamente sono cambiate le abitudini dei cittadini, che tendono a informarsi più che altro sulle edizioni online, ma non è solo questo. Gli edicolanti sono stati lasciati soli, come se non ci si rendesse conto che togliere l’ultima pedina delle filiera significhi di fatto azzoppare la filiera stessa. «Io ho ceduto l’attività in attivo – racconta Anna Costanzo, titolare del chioschetto di piazza San Leoluca – nel 2019 per motivi familiari. La mia edicola ha sempre funzionato perché ho imparato a diversificare i servizi. Certamente ha risentito del calo del calo delle vendite dei quotidiani, ma ero riuscita a fidelizzare la clientela. Ora invece c’è la desertificazione e questo non è bello».
Il trend in negativo investe infatti l’intera provincia. Fino a qualche tempo fa i giornali si trovavano soltanto in edicola. Poi, con la riforma Bersani, a fine anni Novanta, si sono aggiunti bar, stazioni di servizio, autogrill. Questo in qualche modo ha contributo ad accelerare la crisi degli edicolanti puri. Un mestiere duro, il loro. Sveglia alle 5 del mattino, anche in inverno quando è ancora buio, e chiusura alle 20. Pure gli abbonamenti online, a un costo inferiore rispetto ai prezzi praticati in edicola, hanno inciso notevolmente sul crollo delle vendite. «Siamo aperti praticamente 362 giorni all’anno – spiega Domenica Comito titolare della struttura adiacente al convitto Filangieri – e resistiamo senza avere nessun aiuto, né da parte dello Stato, né da parte delle istituzioni locali e men che meno dai sindacati di categoria. Il Comune – continua – ci ha proposto di rilasciare certificati per poter guadagnare qualcosa in più, senza considerare che da oltre vent’anni è in vigore l’autocertificazione e che dovremmo acquistare a nostre spese l’attrezzatura per rendere questo servizio». E intanto bisogna pagare tasse, occupazione di suolo pubblico, corrente elettrica, merce. Di contro «nemmeno un parcheggio riservato per i clienti – aggiunge l’edicolante – che per la maggior parte sono anziani». Pochi servizi e ricavi sempre più risicati.
«In passato – spiega Domenico Carnovale – titolare della struttura a fianco al liceo Capialbi – pagavo 311 euro di occupazione di suolo pubblico. Oggi ne verso 811. Dopo aver tolto i soldi per tasse e bollette, l’utile è solo del 13 per cento. In più, molti editori di riviste hanno abbassato il costo di copertina e oggi il nostro agio è mediamente del 17 per cento. Mi avevano proposto di vendere gratta e vinci e di effettuare ricariche telefoniche – conclude –, ma il pos mi sarebbe costato 17 euro al mese e un euro e 50 per ogni singola commissione». Purtroppo la sfida alla tecnologia è iniziata e quel che occorre trovare, secondo gli edicolanti vibonesi, è una giusta via di mezzo per far coesistere il passato del cartaceo con il presente di uno schermo. «Alcuni Comuni – rilevano – hanno offerto chioschi a canone zero. A Torino invece alcune strutture sono state trasformate in cocktail bar con l’aiuto delle istituzioni locali, ma noi viviamo a Vibo e qui è tutta un’altra storia».

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