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Lamezia, viaggio nella "favelas" di Scordovillo. "Vogliamo una casa come tutti" FOTO

I recenti arresti, ben 46, culminati nell’operazione Svevia di lunedì scorso, hanno riacceso i riflettori sulle condizioni di estremo degrado in cui vivono decine di famiglie nel cuore della città lametina a due passi dal Comune e dall’ospedale. Stiamo parlando del campo rom di Scordovillo, una delle baraccopoli più grandi del Sud Italia. E’ ancora vivido il ricordo del mastodontico incendio del 14 luglio 2021 con una nube tossica che invase l’intera area con le fiamme a minacciare anche il nosocomio lametino.

Nei volti dei degli uomini e delle donne rom c’è rabbia e delusione: non vogliono “visite”, ma chiedono a voce alta una casa e urlano: "Ditelo a tutti che noi non vogliamo vivere in queste condizioni".

Ci addentriamo nel campo rom insieme a Karin a Bianca (associazione Donne e Futuro), a Giuseppe Gigliotti e Giuseppe Marinaro di Italia Nostra e alla nostra collaboratrice Maria Scaramuzzino. I bambini non vanno a scuola, e ci sono anziani disabili che avrebbero bisogno di cure.

Siamo costretti ad uscire perché i rom non vogliono più essere ripresi. Ma l’emergenza ambientale prosegue… perché il degrado avvolge Scordovillo anche fuori dal perimetro delle mura della baraccopoli. L’accesso alla ferrovia è libero, così come dal parcheggio dell’ospedale emerge un’area in cui le sterpaglie la fanno da padrone. Qui inizia un lungo corridoio, un cimitero di rifiuti e fogna dove sentiamo la voce dei rappresentanti di Italia Nostra, Giuseppe Gigliotti e Giuseppe Marinaro. Lo facciamo in mezzo a rifiuti di ogni genere: carcasse di auto, frigoriferi, water, giocattoli, eternit. Lo facciamo con sullo sfondo i bambini di Scordovillo che giocano nella loro "normalità".

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