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Il grande amore di Chagall: la Bibbia. Una suggestiva mostra a Catanzaro

Un’esplosione di forma e di colore in 170 opere che ci parlano di speranza

Un ebreo errante, Marc Chagall, perso nel blu dipinto di blu delle sue tele più celebri. Sopravvissuto, nella sua quasi centenaria esistenza (1887–1985), all’antisemitismo della Russia zarista, alla Rivoluzione d’ottobre, al nazismo, ai pogrom, alla Shoah e a due guerre mondiali, questo maestro del colore, capace di straordinaria leggerezza e immensa forza espressiva, è un simbolo universale di resilienza e rinascita. Ecco perché la sua produzione, permeata di fede, energia, speranza, può essere “riletta” in chiave post pandemica come stimolo a recuperare slancio confidando nel potere salvifico della bellezza e dell’arte. Non a caso la mostra “Chagall. La Bibbia” prodotta e organizzata dal Comune di Catanzaro con Arthemisia e curata dallo storico d’arte Domenico Piraina (autore di un monumentale saggio inserito nel catalogo edito da Rubbettino) con il contributo di Regione Calabria e Fondazione Terzo Pilastro presieduta da Emanuele Emmanuele, è stata scelta per “riaprire”, dopo la lunga emergenza sanitaria, uno spazio museale ad alto tasso simbolico qual è il Complesso monumentale del San Giovanni a Catanzaro.

Da domani fino al 29 agosto il castello ospiterà un percorso espositivo che attraverso 170 opere grafiche racconta una dimensione ben precisa di questo pioniere delle avanguardie del primo Novecento, in seguito riconosciuto dai surrealisti come uno di loro: il rapporto tra l’artista e la Bibbia. Un grande amore, tra misticismo e ossessione.

Se l’obiettivo di una mostra è indurre a “guardare” l’opera d’arte con occhi vergini, non condizionati dal già detto e già scritto, le tre serie di opere chagalliane esposte al San Giovanni (la Bibbia in bianco e nero, la Bibbia a colori e la storia dell’Esodo)  sorprendono il visitatore per l’uso trasgressivo della forma e del colore. Incuriosisce il paradosso di un artista in fuga dal realismo ottocentesco che però attinge a piene mani da un’iconografia millenaria come quella dei personaggi ed episodi biblici. Affascina la commistione tra cultura e folklore, innovazione e tradizione, ricerca e radici, che lo accomuna ad un altro gigante della rivoluzione culturale russa, il poeta futurista Vladimir Majakovskij.
Popolata da profeti, patriarchi, re, pastori e popolani, la mostra aiuta a capire quella religiosità totalizzante ed eroica con cui ogni artista di matrice giudaica deve fare i conti, e di cui le Sacre Scritture sono compendio e riferimento assoluto.

«La Bibbia – sosteneva Chagall, il cui nome ebraico era Moishe Segal – mi ha affascinato fin dall’infanzia. Mi è sempre sembrata la più grande fonte di poesia di tutti i tempi. Da allora ho cercato il suo riflesso nella vita e nell’arte».

La vita di Chagall è tutta un esodo. Russia, Parigi, Stati Uniti per sfuggire al nazismo e infine ancora Francia, dove morirà a Saint-Paul-de-Vence in quel di Nizza. Quasi obbedendo a quanto Dio aveva ordinato ad Abramo («Vattene dalla tua terra…») lascia presto Vitebsk, la città natale in Bielorussia che all’epoca faceva parte dell’impero russo e contava circa 34mila ebrei. In seguito vi farà ritorno per amore di Bella, la moglie e musa ispiratrice, ma il distacco dalla provincia si era già consumato. Alla fine dell’Ottocento l’impero russo ospitava la più numerosa comunità ebraica al mondo con cinque milioni di individui nonostante le migrazioni seguite ai pogrom del 1881. La fede nella tradizione, allora, era l’unica difesa contro la miseria, le calunnie, gli eccidi, l’incertezza del futuro.

Primogenito tra nove fratelli e sorelle, Chagall nasce in una famiglia legata allo chassidismo, corrente dell’ebraismo che, rispetto alla tradizione talmudica colta, proponeva un modello di religiosità accessibile non solo ai dotti, ricca di feste, riti, folclore. Una matrice popolare da cui l’artista mutuerà storie, racconti di eventi nei quali sacro e profano, reale e miracoloso si confondono.

Il rifiuto dell’arte paludata a favore di forme quasi primitive, a tratti infantili, come un’anima ingenua le avrebbe disegnate, connota le opere di Chagall esposte al San Giovanni. La mostra, dedicata dal curatore Piraina al calabrese Romano Carratelli, a cui si deve l’omonimo Codice di acquerelli cinquecenteschi, è un progetto a più voci. Vi sono esposte anche le opere di due artisti contemporanei, Max Marra e Antonio Pujia Veneziano, a completamento di un percorso inedito sull’ebraismo. E una chicca: la ristampa anastatica del Commentarius in Pentateuchumdi Rashi (Rabbi Salomon ben Isaac), edito a Reggio Calabria nel 1475. Una complessa operazione multimediale a cui contribuisce la musica, colta e popolare, di Francesca Prestìa che con tre brani attualizza le antiche lingue ancora parlate in Calabria.

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