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Locatelli (Cts) al Festival Leggere&Scrivere di Vibo: "Vaccinarsi significa volersi bene"

«Non siamo ancora fuori da questa pandemia che ha sovvertito scenari e stili di vita, ma possiamo tranquillamente affermare che se ora i numeri sono inferiori all’anno precedente lo dobbiamo soprattutto ai vaccini. Così come va sottolineato che, a dispetto di qualche voce poco responsabile, l’Italia si è contraddistinta per l’elevata adesione alla campagna vaccinale e che la situazione epidemica del Paese è decisamente migliore rispetto a tutti gli altri Paesi europei che hanno densità di popolazione paragonabile alla nostra come Francia, Germania e Regno Unito».

Lo ha detto il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, intervenendo questa mattina nella quarta giornata del Festival Leggere&Scrivere di Vibo Valentia nel corso dell’incontro “Covid-19, a che punto siamo”, intervistato dalla giornalista de La Gazzetta del Sud Anna Mallamo.

«Dal problema - ha sottolineato Locatelli - non siamo però ancora fuori. C’è ancora circolazione di Sars Cov2 anche nel nostro Paese per non parlare da ciò che succede nel resto d’Europa e in Paesi come Romania e Bulgaria che hanno ancora percentuali molto basse di popolazione vaccinata e numeri elevati di morti e di ricoveri in terapia intensiva. Occupare le terapie intensive vuol dire rallentare o bloccare tutte le attività ordinarie di gestione di patologie che certamente non si sono eclissate per la pandemia: significa quindi sottrarre letti a chi ha infarti, ictus, a chi ha bisogno di trapianti o di altri interventi». Anche in Italia, ha spiegato il presidente del Css, «potremmo fare meglio: esiste un 15 per cento di soggetti che potrebbero essere vaccinati ma che hanno incomprensibili resistenze, diffidenze o perplessità ad essere immunizzati».

Anche il tema del diritto alle cure è entrato nel dibattito. Così Locatelli ha affermato: «La sanità dovrebbe essere uguale e meglio performante in tutte le parti del Paese. Abbiamo un’occasione unica per ripensare la medicina di prossimità e la medicina territoriale. I giovani medici hanno il dovere oltre che il diritto di riappropriarsi della figura del medico di medicina generale che è l’antenna sanitaria e sociale che per prima intercetta il bisogno di salute dei cittadini».

Quindi è stato toccato il tema della responsabilità individuale e sociale: «Chi non si vaccina non si vuole bene. Vaccinarsi vuol dire volersi bene e volere bene agli altri, soprattutto ai propri cari. Basterebbe pensare che se non mi vaccino mi espongo al rischio di morire e di lasciare sole le persone che mi vogliono bene. Farlo è anche un dovere civile, come più volte ha detto il nostro presidente della Repubblica, perché così facendo oltre che noi stessi proteggiamo i soggetti più fragili, chi riceve terapie antitumorali o chi è stato sottoposto a trapianto».

Ancora sui vaccini: «Quelli che sono stati sviluppati contro il Sars Cov2, per quanto abbiano avuto un’applicazione clinica molto breve, non hanno saltato nessuno dei passaggi necessari a documentarne i profili di sicurezza, anzi sono tra i più sicuri. Probabilmente i più sicuri tra tutti vaccini oggi disponibili. Questo perché la tecnologia Rna era già largamente in sviluppo per altre patologie infettive come influenza, rabbia, Hiv. Abbiamo così tratto beneficio da quel filone di ricerca e non deve sorprendere che si siano validati in poco meno di un anno. Inoltre c’è stato un investimento senza precedenti in termini di risorse umane ed economiche e le stesse agenzie regolatorie, pur non saltando nessuno dei passaggi, hanno cambiato il modo di lavorare accelerando di molto i tempi».

L’efficacia del vaccino. «Diciamo chiaramente che i numeri sull’efficacia vaccinale in Italia, secondo dati aggiornati al 15 ottobre, è del 95 per cento: una percentuale elevatissima. Si pensi che la vaccinazione anti-influenzale, sopra i 50 anni di età, non va oltre il 60-70 per cento, ma nessuno si sognerebbe mai di metterne in discussione l’efficacia» ha affermato.

Locatelli ha poi riconosciuto come la pandemia abbia dato luogo a quella che ha definito “Infodemia”. «C’è stata - ha detto - un’esasperata attenzione rispetto alla situazione pandemica con una focalizzazione anche eccessiva mirata a suscitare scalpore piuttosto che a fornire informazioni corrette. Parto dall’autocritica: medici e scienziati non sempre si sono distinti per responsabilità comunicativa e ciò ha mostrato quanto sia necessaria una strategia di comunicazione che eviti voci dissonanti non improntate a coerenza e rispetto della veridicità e che creano solo disorientamento, alimentando pulsioni di rifiuto e diffidenza. E qualche voce - ha rimarcato - è stata anche connotata da incontinenza mediatica: fare informazione va bene ma non si può sfruttare una situazione come questa per promuovere la propria immagine attraverso ripetute presenze sui mezzi d’informazione».

Per non parlare delle fake news. «Come quella - ha ricordato Locatelli - sul fatto che i vaccini Rna potessero provocare la perdita di fertilità. Si sono dovuti sprecare soldi per documentare che lo spermiogramma dei soggetti vaccinati era assolutamente identico a quello di prima della vaccinazione. Serve, quindi, anche una maggiore deontologia professionale da parte dei giornalisti, perché ospitare in televisione persone che urlano frasi insensate o evocano malintesi episodi di violazione della libertà individuale non serve a nessuno».

Infine il capitolo della solidarietà vaccinale. «Ci sono tantissimi paesi africani o del Sud America - ha detto Locateli - dove le percentuali di vaccinati non arrivano neppure a due cifre. Finché ci saranno sacche del mondo in cui il virus circola liberamente, ci saranno sempre varianti nuove che possono metterci in difficoltà. In un mondo globalizzato non possiamo pensare di rimanerne immuni per questo abbiamo il dovere di aiutare i Paesi che sono ancora indietro».

 

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