Quello che sorprende quando si parla con Oliver Neuville è la sua grande umiltà. L’ex calciatore svizzero naturalizzato tedesco – la cui mamma, Carmela Briatico, è originaria di Filadelfia, in provincia di Vibo Valentia, dove è nata nel 1948 – vanta nella sua carriera più di 500 incontri e 154 gol tra i professionisti. Eppure, non c’è traccia di autocelebrazione nelle sue parole. Anzi, tutt’altro. Oliver ha 48 anni, vive a Mönchengladbach ed è nello staff tecnico del Borussia dove riveste il ruolo di assistente dell’allenatore.
Quando era un pilastro della Nazionale tedesca (giusto per ricordarlo, Neuville ha anche giocato l’intera finale dei Mondiali 2002 persa contro il Brasile di Ronaldo il “Fenomeno), “Gazzetta del Sud” ha seguito con affetto e partecipazione le gesta di questo calciatore con la Calabria nell’anima. E oggi, a distanza di una decina d’anni dal suo ritiro agonistico, abbiamo riacceso i riflettori su di lui.
Oliver buongiorno. La tua vita professionale è stata costellata da tante soddisfazioni e da non pochi traguardi di prestigio. Qual è stata l’esperienza maggiormente formativa per te?
«Ogni tappa che ho fatto è stata importante. Perché ognuna di esse ha contribuito alla mia crescita. Sin dall’inizio, da quando ho cominciato a giocare nel Locarno, a 18 anni, in serie B, per poi proseguire nel ’92 al Servette, prima squadra di Ginevra, e successivamente in Spagna, a Tenerife. Ogni esperienza che ho fatto ha rappresentato un arricchimento, le prime come le tante altre che si sono susseguite. Ho iniziato a giocare a pallone a 7 anni e ho smesso a 38, il calcio è sempre stata la mia grande passione».
Che ricordi conservi di Filadelfia, dove hai trascorso tanti momenti lieti in estate e nelle feste?
«Non avrei potuto trascorrere un’infanzia migliore in un luogo che non fosse Filadelfia. Al paese di mia mamma mi legano momenti indimenticabili, che custodisco sempre nel mio cuore. Mia nonna Maria viveva stabilmente lì e noi venivamo in Calabria ogni estate, da giugno fino alla fine di agosto, assieme ai miei cugini e ai miei zii. Andavamo via solo quando ricominciava la scuola. E il nostro divertimento era quello di un tempo, fatto di uscite sul corso con gli amici, di partite a calcio tutto il giorno al campo o al campetto, dove si giocava 5 contro 5. Non erano gli impianti ai quali i ragazzi sono abituati oggi, ma per noi andavano benissimo così, ci bastava questo per stare bene. Non c’era bisogno di telefonini o di altri apparecchi elettronici, la semplicità era il segreto della nostra felicità. E i nostri genitori erano sereni perché il paese era tranquillo, a misura di bambino. Purtroppo, da un po’ di tempo non sono più riuscito a tornare in Calabria. Quando ho cominciato a giocare a calcio, gli impegni si sono moltiplicati. Ma fino ai miei 17 anni, l’estate per me è stata solo Filadelfia».
Sono passati ormai diversi anni dall’ultima volta in cui sei tornato...
«Sì, circa sette. Adesso, purtroppo, è più difficile conciliare gli impegni tra famiglia e lavoro. Vado in ferie da metà maggio a metà giugno, quando i miei figli ancora vanno a scuola. Quando loro terminano, vado a trovare mia mamma, che è rimasta a vivere in Svizzera, vicino Locarno. Poi, partiamo per la Grecia, andiamo nella città di mia moglie Koula. Un luogo che permette ai bambini di vivere lontano dallo stress e dal mondo virtuale dei dispositivi elettronici. Le sue strade, le sue case e la serenità che si respira mi ricordano tantissimo Filadelfia, dove spero vivamente di poter tornare quanto prima, nel paese e nella casa della nonna».
Sei figlio d’arte Oliver. Anche tuo padre, Josef “Jupp” Neuville, era un calciatore e, successivamente, è diventato allenatore. Hai mosso i primi passi con lui?
«Sì, è con mio padre che mi sono avvicinato al calcio, era lui a seguirmi e, per un periodo, è stato anche il mio allenatore. Ho sicuramente ereditato da lui questa mia passione, ma l’ho perso da giovane. Avevo 17 anni quando morì, un infarto lo portò via a soli 53 anni».
Hai tre figli, due piccoli. Qualcuno di loro ha già mostrato lo stesso interesse per il calcio che ha consentito al papà di diventare un campione?
«Il mio primo figlio, che ho avuto dalla mia ex compagna, si chiama Lars. Ha venticinque anni, ma non gioca a pallone. È stato spesso a Filadelfia, andava in Calabria a trascorrere le vacanze anche da solo. Proprio una bella cosa. Da mia moglie Koula, ho avuto altri due figli: Alessandro e Leandro, di 12 e 5 anni. Oggi, l’unico che pratica il calcio è Alessandro. Sono contento, ma per me non è fondamentale. L’importante, prima di tutto, è lo studio. Poi, è sufficiente che facciano sport, qualunque disciplina desiderino».
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