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Vibo, un testimone di giustizia: "Stare dalla parte della legalità significa prendere calci in faccia"

"Oggi cosa farei? Certamente non quanto ho fatto nel 2006..." Parole pesanti quelle del testimone di giustizia Michele Tramontana, nato a Buenos Aires ma con i genitori originari di Rombiolo, centro del Vibonese in cui la famiglia si è poi stabilita, perché raccontano dell'ennesima sconfitta dello Stato. Con le sue denunce Tramontana - abile artigiano del legno tanto da aver fatto in passato mobili anche per il pediatra del principe William, duca di Cambridge - ha consentito alla Dda di Catanzaro di chiudere il cerchio su un giro di usura, coinvolgendo affiliati dei Mancuso di Limbadi, dei Lo Bianco di Vibo e di persone legate da rapporti di parentela al broker della droga Vincenzo Barbieri, ucciso in un agguato.

Entrato nel 2007 nel programma di protezione, nel 2016 nonostante il processo di primo grado ancora in corso e nonostante la Procura distrettuale avesse comunicato che era a rischio così come lo era stato nel 2007, gli viene prospettata la fuoriuscita dal programma. Il Tar - dopo un appello - accoglie il ricorso del testimone di giustizia (rappresentato dall'avvocato Giovanna Fronte) ma nel 2019 la Commissione centrale sarebbe ritornata nuovamente a bomba tant'è che Tramontana sarebbe stato costretto a sottoscrivere un accordo di fuoriuscita.

Secondo quanto riferito dal testimone di giustizia e dall'avvocato Fronte pressioni avrebbero indotto Tramontana a questa decisione. Vicende che coinvolgerebbero pezzi delle istituzioni e per le quali una querela è stata presentata lo scorso gennaio. Ma c'è di più perché nel corso di una pubblica udienza davanti al Tar il rappresentante dell'avvocatura dello Stato "ha divulgato il luogo del mio domicilio protetto avendo appreso da un colonnello del Servizio centrale di protezione". Fatto sta che pochi giorno dopo da questa "leggerezza" Tramontana ha ricevuto minacce telefoniche dalla Calabria (la telefonata è partita da una cabina pubblica di Vibo) e ha così "dovuto mettere in liquidazione l'attività" ubicata poco distante dall'abitazione, subendo "pesanti danni economici".

E così mentre le minacce proseguono (per lettera altre sono state mandate alla madre), mentre gli viene riservato il livello di massimo di scorta quando deve presenziare ai processi, Tramontana, ormai fuori dal programma, entro il 30 giugno dovrà lasciare l'abitazione in cui vive con la famiglia. Questo perché il "famoso" accordo lo prevedeva, come prevedeva anche che lo Stato gli versasse i fondi provenienti dall'acquisto di alcuni immobili di Rombiolo di proprietà della madre.

Acquisto per cui aveva a suo tempo deliberato. Somma che avrebbe consentito a Tramontana di ultimare i lavori nella nuova abitazione, in altra località, e di gettare le basi per una vita fuori dalla protezione. Solo che lo Stato a oggi non ha versato un centesimo al testimone di giustizia il quale, considerata anche l'emergenza coronavirus, non ha potuto andare avanti con i lavori. Aveva chiesto una proroga di pochi mesi ma non ha ricevuto in merito alcuna risposta. Anzi "vengo continuamente sollecitato dal Servizio centrale di protezione a lasciare l'immobile. Quindi io, testimone di giustizia che ha sempre rispettato le regole la legge, che ho denunciato e messo la mia vita e quella dei miei familiari nelle mani dello Stato, oggi vengo clamorosamente preso a calci nel sedere e cestinato come un ferro vecchio".

Intanto Michele Tramontana ha inviato segnalazioni ovunque, ha chiesto un'audizione in Commissione centrale - "che per legge avrebbe dovuto convocarmi" - ma ogni sua richiesta è rimasta lettera morta. "Anche la Commissione antimafia, che ha chiesto tutto il carteggio - dice - non si è degnata di un segnale. Evidentemente sono tutti impegnati a celebrare i morti, ma la lotta alla 'ndrangheta si fa soprattutto tutelando i vivi che hanno scelto da che parte stare, dei morti bisogna ricordare l'adempimento del dovere che hanno compiuto. Purtroppo oggi sono costretto a rendere pubblica la mia vicenda, le mie denunce inascoltate e dire che quando lo Stato ci chiede fiducia fa solo pubblicità ingannevole perché stare dalla parte della legalità significa solo prendere calci in faccia mentre i criminali ci ridono alle spalle".

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