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L'imam di Catanzaro: "Cerchiamo di integrarci, ma mancano i rapporti con le istituzioni"

Sono 12mila i musulmani nella provincia di Catanzaro. Di questi, 2mila risiedono nel capoluogo. Provengono da diverse parti del mondo: Marocco e Maghreb in generale, poi Bangladesh, Pakistan, Senegal, Sudan, Iraq, Costa d’Avorio e tanti altri. La comunità catanzarese è composta soprattutto da donne e bambini, solo il 35% circa sono uomini. Quanto ai lavori che svolgono, alcuni di essi sono arrivati in Italia con titoli professionali: medici e ingegneri, soprattutto. La maggior parte lavora nel settore edile, però. Mentre le donne che lavorano fanno le baby-sitter o assistono gli anziani. Una presenza sempre più consistente per quella che è una realtà, sociale, culturale e non solo religiosa, in continua evoluzione.

Per conoscerla meglio abbiamo incontrato Khalid Elsheikh, Imam della comunità islamica catanzarese, e Antonio Carioti, che da qualche anno ha cambiato il proprio nome in Omar dopo la conversione all’Islam e che dalla comunità è stato scelto come presidente dell’associazione “Dar Assalam” (“La casa della pace”).

Sulla comunità musulmana catanzarese si sono accesi i riflettori al momento della scomparsa di Muhammad Ouassir, il 74enne marocchino che ha vissuto 30 anni in città e che dalla città è stato amato per i suoi modi gentili e la sua silenziosa ma costante presenza. Proprio quell’attestato di stima della città nei confronti di Ouassir può essere letto come una certificazione dell’apertura all’integrazione da parte della popolazione catanzarese: «Non ci sono mai stati episodi di violenza o intolleranza nei confronti dei musulmani - spiega Elsheikh - anzi, la convivenza è molto tranquilla e reciprocamente rispettosa». Ciò che però è del tutto inesistente sono i rapporti istituzionali. Elshaikh vive a Catanzaro ormai da più di 25 anni e l’unico momento in cui ha riscontrato l’avvio di un percorso di collaborazione è stato tra il 2004 e il 2012 quando un progetto regionale garantiva la presenza di un mediatore culturale negli uffici pubblici, negli ospedali, nelle scuole e nei centri per l’impiego. Quel progetto «non è stato più rinnovato, anche per mancanza di volontà politica. Non ci sono risorse, dicono. Ma noi non vogliamo grandi cose, la nostra è una comunità che si autofinanzia. Abbiamo sempre chiesto solo degli spazi per aiutare l'integrazione». Così, l’integrazione culturale, adesso, è tutta demandata all’iniziativa dei singoli. E rimane inevaso il tema della sepoltura dei defunti di fede islamica, un vulnus particolarmente grave a cui il Comune non pone rimedio.

Ancora, però, quando si parla di Islam in qualcuno c’è una certa diffidenza, anche se dall’altra parte c’è una persona nata e cresciuta a Catanzaro: «Da quando ho messo il turbante c'è chi mi guarda in modo strano e mi sono sentito, per la prima volta, straniero nella mia terra», è l’amara constatazione di Carioti. Parole che dimostrano come il percorso di crescita culturale del contesto sociale catanzarese - e non solo - sia ancora lungo.

 

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