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Demone e sciupafemmine: a Catanzaro il Don Giovanni di Mozart secondo Luciano Cannito

Un accumulatore seriale di donne. E se vivesse oggi, un bersaglio del movimento #metoo. Questo, secondo il regista Luciano Cannito, il Don Giovanni di Mozart. Un po’ demone un po’ sciupafemmine, insoddisfatto ma non impunito (vista la brutta fine), l’eterno libertino figlio del Secolo dei Lumi rivivrà la sua storia domenica sera al teatro Politeama di Catanzaro nell’opera lirica di cui Cannito ha curato l’allestimento e Michele Della Cioppa la scenografia, mentre sarà il maestro Marcin Nalecz-Niesiolowski a dirigere l’Orchestra filarmonica della Calabria.

Una produzione originale della Fondazione Politeama, il melodramma messo in scena dal sovrintendente Gianvito Casadonte e finanziato dalla famiglia Colosimo per celebrare il primo anniversario della morte del Cavaliere del Lavoro e mecenate della cultura Giovanni Colosimo. Il ricavato dei biglietti, già quasi tutti venduti, sarà destinato a opere di beneficenza. Punta di diamante di questa produzione è Carlo Colombara, uno dei più grandi baritoni del panorama lirico internazionale. Accanto a lui, che interpreta il seduttore mozartiano, brilla un tris di eleganti voci femminili: la rumena Renata Vari nel ruolo di Donna Anna, l’italo-americana Joanna Parisi in quello di Donna Elvira mentre l’italianissima Maria Francesca Mazzara sarà la furba e intraprendente Zerlina. Fulcro tematico della trama è il grande archetipo del convitato di pietra.

E poiché serviva una vera statua per rappresentarlo, l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, sollecitata dalla direttrice di area artistica della Fondazione, Giovanna Massara, ha prodotto il busto in gesso per la scena finale, quando la statua del Commendatore, il padre di Donna Anna, si presenta a casa di Don Giovanni, da lui invitato, e gli chiede più volte di pentirsi.

Il libertino rifiuta e una grande voragine di fuoco si apre sotto i suoi piedi, facendolo precipitare all’inferno. Una scena potente, interpretata con uno sguardo attento all’eterna contemporaneità del peccato.

Nella foto Luciano Cannito e Carlo Colombara al Politeama.

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