A distanza di sedici anni dall'agguato, polizia e Dda chiudono il cerchio sui presunti mandanti ed esecutori materiali, riesumando un delitto e un tentato omicidio del 2003, riuscendo a portarlo a livello di prova. A sottolinearlo, nel corso di una conferenza stampa alla Questura di Vibo, il procuratore distrettuale di Catanzaro Nicola Gratteri.
Secondo quanto emerrso dall'indagine, denominata "Errore fatale" condotta dalle Squadre mobili di Vibo e Catanzaro con il coordinamento dello Sco e della Dda, a ordinare e dare il placet per l'agguato a Raffaele Fiamingo (alias Lele il Vichingo) ma soprattutto a Francesco Mancuso (detto Tabacco), 62 anni, esponente di primo piano della cosca di Limbadi, sarebbe stato proprio lo zio Cosmo Mancuso (alias Michelina), di 70 anni al fine di dare una "regolata" al nipote che all'epoca avrebbe alzato troppo la testa.
Una decisione importante che dimostra la profondità della frattura al tempo esistente nel clan di Limbadi anche in considerazione del fatto che veniva così a essere infranta una delle regole non scritte della famiglia di 'ndrangheta, secondo cui nessuno dei Mancuso doveva essere ucciso; si sarebbero potuti colpire al massimo i soldati.
Nella notte tra il 9 e 10 luglio del 2003 Giuseppe Antonio Accorinti, 60 anni di Zungri, referente dei Mancuso nella zona di Spilinga, avrebbe accompagnato gli esecutori materiali sul luogo del delitto, ovvero in piazza della Resistenza a Spilinga dove, in base alla ricostruzione degli inquirenti, attraverso un tranello erano stati convocati Tabacco e il suo luogotenente Lele il Vichingo.
Questi ultimi avevano avanzato la richiesta di pagamento della mazzetta al titolare di un panificio di proprietà di una società che aveva tra i soci accomandatari un fratello di Antonio Prenesti, 53 anni di Nicotera ieri arrestato unitamente a Domenico Salvatore Polito, 55 anni di Vibo i componenti del commando che sparò uccidendo Raffaele Fiamingo e ferendo gravemente Francesco Mancuso.
Martedì scorso, nella stessa area, ancora una volta la polizia aveva arrestato 31 persone nel corso dell'operazione "Rimpiazzo". Nel corso della quale è venuto fuori che la cosca di 'ndrangheta dei "piscopisani", nel territorio di Piscopio, voleva sostituirsi proprio a quella dei Mancuso, colpita oggi e storicamente dominante sul territorio, nel controllo delle attività illecite in una vasta area comprendente Vibo Valentia ed alcune frazioni.
Secondo quanto emerso dalle indagini, condotte dalla squadra mobile di Vibo Valentia, i "piscopisani" volevano subentrare alla cosca dei Mancuso nella gestione degli affari criminali in tutto il comprensorio di Vibo, comprendente, oltre al capoluogo, le frazioni Vibo Marina, Porto Salvo e Bivona.
Il tentativo dei "piscopisani" di spodestrare i Mancuso fu la causa di uno scontro tra i due gruppi che provocò anche alcuni omicidi.
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