Qualcuno degli indagati sapeva di essere controllato dalle forze dell'ordine. Non congetture di chi vive costantemente con il fiato di polizia e carabinieri sul collo, ma certezze, perché all'epoca - si parla di circa nove anni fa - l'interessato sarebbe stato messo sul chivalà. Non dall'amico o dal parente, bensì da un giudice in quel periodo in servizio al Tribunale di Vibo.
A rivelarlo ai magistrati della Dda il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato in un verbale reso tra l'uno e il due settembre di quattro anni fa. All'epoca il pentito rispondendo alle domande su una delle sedi logistiche dei Piscopisani faceva le sue dichiarazioni choc che, qualora si rivelassero veritiere e fondate, getterebbero una ulteriore ombra sul palazzo di giustizia vibonese.
Comunque sia nella richiesta di applicazione delle misure cautelari - nell'ambito dell'inchiesta sfociata nell'operazione “Rimpiazzo” - viene riportato il brano relativo alle dichiarazioni rese da Moscato nel settembre del 2015 in cui il pentito nel raccontare le precauzioni prese da uno dei sodali del locale di 'ndrangheta di Piscopio - il quale non intestava a suo nome le utenze e preferiva sempre pagare in contanti proprio per evitare che eventuali riscontri potessero far risalire a lui le forze dell'ordine - inseriva la vicenda relativa al giudice (da quanto emerge dall'inchiesta si tratta di un magistrato da molto tempo ormai in altra sede) che, stando alle dichiarazioni del pentito nel periodo della sua permanenza in città avrebbe avuto una relazione con il padre di un esponente dei Piscopisani.
In pratica - in base a quanto riferito dal collaboratore e riportato sulla Gazzetta del Sud in edicola - il giudice avrebbe parlato di controlli e ciò avrebbe messo sull'avviso l'interessato inducendolo a prendere le dovute cautele. Circostanza che sarebbe stata confermata a Moscato dal diretto interessato, un fatto di cui il pentito ha riferito di essere stato già al corrente in quanto confermatogli in precedenza da Rosario Battaglia.
Queste le dichiarazioni di Raffaele Moscato: «... Tutte le utenze erano intestate a... in quanto... temeva che mediante riscontri le forze dell'ordine potessero risalire alla sua persona. Del pari - aggiungeva - evitava di pagare ai locali con carte di credito a lui riconducibili, quando andavamo a cenare insieme, pretendendo di pagare solo in contanti. Preciso - proseguiva il pentito - che questo suo timore, me lo confidò quando chiedendogli chi gli avesse detto di essere controllato dalle forze dell'ordine, riferendomi io a bassa voce, al giudice... del Tribunale di Vibo Valentia, che sapevo avere una relazione con il padre, il... zittendomi e annuendo con il capo, confermava la fonte. Quest 'ultima circostanza, in particolare, mi era stata già confermata da Rosario Battaglia in altre circostanze...».
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