Non ci sono solo le aziende sotto tiro e le estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti del Vibonese nell’inchiesta denominata Scott Rinascita. Ma c’è anche l’evoluzione dell’assetto criminale nella città capoluogo.
Gli inquirenti pongono soprattutto l’accento sul gruppo che s’è staccato dai Lo Bianco per confluire in poco tempo in un nuovo “contenitore” criminale, quello dei cosiddetti Ranisi, dentro il quale si sono ritrovate le famiglie Camillò, Pardea e Macrì che hanno approfittato delle difficoltà a cui è andata incontro la cosca madre, ovvero quella rappresentata dai Lo Bianco-Barba, e dall’uscita di scena di Andrea Mantella, da tutti ritenuto in quel momento storico il boss emergente e la cui escalation ’ndranghetistica è iniziata a sedici anni con omicidi, estorsioni e danneggiamenti su mandato dal capo carismatico della cosca, Carmelo Lo Bianco, la cui organizzazione ha cominciato a perdere terreno dopo l’arresto del giovane rampollo, seguito da una lunga detenzione, e l’omicidio del suo braccio destro, Francesco Scrugli.
Il gruppo emergente, pertanto, ha cominciato a mettere radici sul territorio. I primi elementi che lasciavano intravedere una svolta erano già emersi nel corso dell’inchiesta The Goodfellas. Sulla scorta di quel lavoro investigativo portato avanti dalla Dda è emerso in maniera chiara il nuovo assetto criminale esistente sul territorio ed il ruolo di Domenico Camillò, 79 anni, fratellastro di Raffaele Pardea di 61 anni e quello di Antonio Macrì, 67 anni.
A capo dell’organizzazione della cosca dei Ranisi – secondo quanto rivelato dal pentito Raffaele Moscato nel corso dell’interrogatorio del 15 maggio 2015 – veniva indicato il più anziano. In questo caso il referente non poteva che essere Domenico Camillò.
Ed a tal proposito Mantella affermava: «Domenico Camillò è una persona anziana che possiamo considerare uno dei vertici della famiglia dei Ranisi, veniva a trovarmi quasi tutte le settimane quando ero ai domiciliari a “Villa Verde”. I Ranisi avevano una loro storia criminale anche se poi si sono uniti con i Lo Bianco; Domenico Camillò faceva parte della società maggiore e partecipava a tutte le riunioni; Camillò veniva a Villa Verde a trovarmi e mi faceva favori nell’ambito sanitario; in un paio di circostanze mi ha anche portato delle somme di danaro che gli aveva dato Carmelo Lo Bianco quando si trovava ai domiciliari, somme che costituivano la mia parte delle estorsioni per i lavori che venivano realizzati a Vibo».
Mantella evidenziava, inoltre, che Camillò aveva la dote di “Vangelo” «e quando io sono andato in carcere i ragazzi che erano con me facevano riferimento a lui, ovvero a “zio Mimmo Camillò”».
Emerge in maniera piuttosto chiara che secondo Mantella Camillò era a capo della cosca ma nel solco della tradizione che lo voleva sottoposto al controllo gerarchico della cosca madre, ovvero i Lo Bianco.
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