Tasselli di storia criminale che si ricompongono nel grande puzzle del Crimine vibonese. Perché la maxi-inchiesta “Scott Rinascita” non ha soltanto disarticolato le cosche sul territorio provinciale e svelato i presunti patti illeciti con politici, professionisti e rappresentanti infedeli delle istituzioni, in molti casi legati tra loro dallo stesso collante, la massoneria deviata, ma attraverso le dichiarazioni di alcuni collaboratori - in particolare Andrea Mantella - consente di ricostruire e definire “vecchi” progetti di morte.
È il caso del piano per eliminare il boss Pantaleone Mancuso (alias Scarpuni), nipote del “supremo” Luigi Mancuso. A farlo fuori ci avrebbero tentato in tanti per guadagnare gli spazi occupati sul territorio dall'“ingombrante” famiglia di 'ndrangheta di Limbadi. Ma in una occasione il progetto - che era già arrivato alla fase operativa - saltò in seguito all'iniziativa dello stesso boss di Limbadi che cercò di trovare un accordo con i Bonavota. “Avvicinamento” che avrebbe avuto come punto centrale un incontro a Mesiano, località dell'altopiano del Poro.
In un verbale reso l'1 settembre del 2016 Mantella si assumeva la paternità del “primo” progetto di eliminare il boss Scarpuni precisando che l'idea era nata, oltre che da lui anche da «Francesco Fortuna, Domenico Bonavota e Francesco Scrugli». Un progetto «avviato ancora prima di iniziare gli omicidi Cracolici, Belsito e Di Leo» (primi anni 2000) però non attuato per una serie di ragioni, tra cui l'arresto del boss. Successivamente (il pentito indicava come anno di riferimento il 2009) il piano di morte sarebbe stato “rispolverato” e le parti in causa erano «già attive per vedere gli spostamenti di Scarpuni». In quel periodo però Mantella era ristretto a Villa Verde e in carcere si trovavano pure Francesco Fortuna e Francesco Scrugli «per cui a disposizione di Mimmo Bonavota - dichiarava il collaboratore, ex boss emergente di Vibo - dovevano venire due persone di Cutro per uccidere Scarpuni a Nicotera. Sono stati fatti dei sopralluoghi da Giuseppe Barbieri e da Pino Ferito, che fanno parte del gruppo dei Bonavota. I due killer sono scesi due o tre volte in compagnia di Barbieri e Ferito ma non sono riusciti a beccarlo. L'omicidio doveva avvenire a viso scoperto».
Ma il progetto sfumò «perché Pantaleone Mancuso chiese ai Bonavota di mandare qualcuno per lui. Ci andò Salvatore Bonavota, il fratello più piccolo - raccontava Mantella - e Luni Scarpuni disse che c'era una stima con il padre per cui dovevano trovare un accordo su quel territorio. Si incontrarono su Monte Poro a Mesiano e Salvatore Bonavota gli risposte che doveva parlarne con i fratelli, in particolare con Domenico. A quel punto Domenico Bonavota mi mandò Pino Barbieri in clinica per dirmi di mollare la presa perché Scarpuni voleva trovare un accordo per la spartizione del territorio...».
Chiuso il capitolo “agguato al boss” con i Bonavota Andrea Mantella però ne apriva uno analogo con i Piscopisani che addirittura avrebbero voluto tagliare la testa a Pantaleone Mancuso, dopo averlo ucciso, e tenerla come un trofeo.
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