Sembra un girone dantesco il reparto di Medicina dell'ospedale Jazzolino. Le corsie sono affollate, i letti tutti occupati. Nel corridoio le lettighe senza privacy, immerse nell'andirivieni frenetico di medici e infermieri intenti a curare decine di pazienti.
Alle 12.30 il reparto è pieno come un uovo. Il personale sanitario fa il giro delle visite, mentre i parenti stazionano nelle stanze. Contemporaneamente arriva il carrello con i pasti. Anche l'uscita di emergenza è bloccata per dare spazio a un anziano che non ha trovato posto.
«Non c'è umanità - racconta un uomo -. Dopo 8 ore di Pronto soccorso ho dormito per tutta la notte in barella e di mattina mi hanno trasferito nel reparto di Medicina, sempre in lettiga, in attesa che si liberi un posto». Più avanti sempre nel corridoio, di fronte ad una camera di degenza, un paziente con l'ossigeno, appena riparato da un separè, è costretto a consumare in piedi il proprio pasto. Anche lui, dopo la trafila di ben 9 ore al Pronto soccorso, viene ricoverato al terzo piano dello Jazzolino in quel reparto in cui ci sono appena 16 posti letto, per una popolazione che solo in città supera le 30mila persone. «È una vergogna - commenta l'uomo -. Il sistema sanitario è stato affossato da incarichi e prebende. Noi pazienti siamo solo numeri. Qui in Medicina - aggiunge - vengono ricoverati malati di reparti ormai chiusi. Come possono essere sufficienti 16 posti letto?».
E in effetti, dopo la chiusura della Nefrologia anche i dializzati devono fare riferimento alla Medicina generale in caso di bisogno. E la gente si chiede a cosa abbiano «sortito le indignazioni di ingenui parlamentari che hanno avuto un sussulto quando hanno visitato l'ospedale cittadino» se la condizione di perenne “stato di guerra” in cui operano medici e infermieri non è affatto cambiata. Ormai pure i cittadini sono anestetizzati davanti alla miriade di criticità in cui versa la sanità locale. «Ma che si aspettavano, i nostri parlamentari? Di entrare in un ospedale svizzero? Non lo sapevano che mancano i letti, che i pochi reparti aperti scoppiano, che i pazienti devono ritenersi fortunati se possono stendersi su una barella? Chi l'ha smantellata, la sanità pubblica, se non i politici?», si domanda un ragazzo seduto sul letto della madre.
I tempi di attesa per il ricovero in Medicina sono biblici: da qualche ora (eventualità assai remota) ai 3/4 giorni. E così può succedere che un paziente resti in “parcheggio” nel corridoio per intere giornate, senza un bagno, senza un comodino, senza dignità. Il risultato è la promiscuità assoluta, donne accanto a uomini, malati che si lamentano al fianco di pazienti che dovrebbero riposare, anziani non autosufficienti che spesso vengono aiutati dai familiari di altri degenti in attesa dell'arrivo di un infermiere che tarda perché impegnato con un altro malato. E in questo clima i sanitari sono costretti a operare.
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