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Omicidio Fiorillo a Vibo, rito abbreviato si conclude con condanna a 16 anni e un'assoluzione

Il luogo dell'omicidio di Fiorillo

Si è concluso con una condanna a 16 anni di carcere e un'assoluzione il processo con rito abbreviato a carico di due giovani vibonesi accusati dell’omicidio di Francesco Fiorillo, 45 anni, commerciante di Vibo Valentia, ucciso con sette colpi di pistola il 15 dicembre del 2015, in località Suriani, della frazione di Longobardi, alle porte della città.

Nello specifico il gup Tiziana Macrì ha condannato Arcangelo D’Angelo, di 30 anni, mentre ha assolto Saverio Ramondino, di 28 anni "per non aver commesso il fatto". Nei confronti di D'Angelo (avvocati Guido Contestabile e Marco Talarico) e di Ramondino (Francesco Sabatino) il pm Concettina Iannazzo aveva chiesto la condonna a 18 anni di carcere ciascuno.

Concorso nell'omicidio del commerciante l'accusa mossa a carico dei due giovani di Piscopio, anche se sul delitto hanno sempre pesato la mancanza di un movente certo e il punto interrogativo sul mandante. Non è stato accertato, infatti, da parte di chi sia partito l’ordine di uccidere Fiorillo e neppure il motivo alla base del delitto.

Comunque sia per Saverio Ramondino (l’arresto del quale lo scorso luglio è stato annullato dal Tdl in sede di rinvio della Cassazione) e per Arcangelo D’Angelo il gip De Gregorio aveva disposto il giudizio immediato.

Ramondino (che ha affrontato il processo a piede libero) e D’Angelo erano stati arrestati circa un anno fa in quanto indicati quali esecutori materiali dell’omicidio di Francesco Fiorillo da Antonio Zuliani, 27 anni, anch’egli di Piscopio, arrestato circa un anno prima degli altri due indagati, dopo che la comparazione del Dna, estratto da un reperto rinvenuto su un guanto di lattice abbandonato in un’area poco distante dal luogo dell’agguato, aveva dato esito positivo. Un delitto quello del commerciante per il quale Zuliani è stato processato con rito abbreviato e condannato a 14 anni di reclusione.

Dopo aver trascorso otto mesi in carcere Antonio Zuliani ha riferito agli inquirenti di non aver eseguito materialmente il delitto, giustificando la presenza della traccia biologica sul guanto con il fatto che la mattina dell’agguato era andato con D’Angelo a provare le pistole e aveva usato i guanti in lattice. In seguito però si sarebbe tirato fuori e sarebbe stato rimpiazzato da Ramondino. Ciò avrebbe indotto D’angelo – secondo la versione di Zuliani – a lasciare cadere il guanto per fargliela in qualche modo pagare. Ma già nella fase cautelare la Cassazione non aveva ritenuto attendibili le dichiarazioni di Zuliani con il quale D'Angelo avrebbe avuto contatti diretti.

L'omicidio del commerciante era stato ricostruito, nella sua dinamica, in 3D da parte del Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia, che aveva supportato le indagini della Squadra mobile e della Procura di Vibo, e che aveva consentito di chiarire che l’agguato a Francesco Fiorillo sarebbe stato compiuto da tre persone.

All'epoca, al di là del profilo genetico, altro elemento che aveva tirato in ballo Zuliani era stato l’esame dei tabulati e dei traffici telefonici che, nel marasma di celle – quel giorno, in quel luogo e in un orario compatibile con l’omicidio – avrebbe agganciato soltanto quella del telefonino in uso a Zuliani.

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