In Lombardia lo scarico di responsabilità e il tiro incrociato di accuse sulla mancata istituzione di una zona rossa nei territori più colpiti dal coronavirus. A Soverato il problema è inverso. La percentuale dei casi rispetto al numero degli abitanti, è nettamente inferiore a quella di Comuni vicini come Davoli e Centrache.
Ciononostante risulta l’unica città costiera a essere dichiarata zona rossa dal 27 marzo, in conseguenza di ciò che è accaduto nella casa di riposo di Chiaravalle, ed è rimasta nell’elenco anche se il numero dei contagi non è mai aumentato.
I positivi al Covid-19 sono in tutto 4, una donna in servizio nella rsa chiaravallese, che sta trascorrendo i giorni di quarantena in una struttura di Catanzaro lido con i colleghi infetti, una coppia di coniugi di ritorno dalla Lombardia e un giovane lavoratore stagionale rientrato dal Trentino che si era volontariamente isolato ben prima che scoprisse di aver contratto il virus.
Quanto basta per i cittadini soveratesi, ma anche del comprensorio, per chiedere al sindaco di far pressioni per la riapertura della città, costringendo la Regione Calabria a rivedere il provvedimento. Ernesto Alecci ne ha facoltà, ma ancora non si è espresso in merito. Nei fatti cambierebbe molto per chi è rimasto privo di alcuni beni che non riesce a reperire nel proprio paese di residenza.
Nei comuni zona rossa per Covid-19 si definisce infatti una zona ad alto rischio in cui è prevista la possibilità di transito in ingresso e in uscita dal territorio soltanto da parte degli operatori sanitari e socio-sanitari, del personale impegnato nei controlli e nell’assistenza alle attività relative all’emergenza.
La mobilità è concessa anche agli esercenti delle attività consentite sul territorio e di quelle strettamente strumentali alle stesse, limitatamente però alle presenze strettamente indispensabili allo svolgimento delle attività e a quelle di pulizia e sanificazione dei relativi locali.
Le prefetture prevedono poi anche la possibilità della chiusura delle strade secondarie che, però a Soverato non è mai stata adottata. La riapertura della città all’esterno permetterebbe una maggiore mobilità ad alcune categorie di lavoratori sbloccando a livello burocratico anche alcune questioni comunali, ad esempio quelle legate all’espletamento di gare e bandi.
Muterebbe infine l’obbligo dell’uso di dispositivi di protezione individuale che, però, il sindaco potrebbe comunque imporre con ordinanze che tengano conto della necessità di prevenire nuovi contagi. Le vite e le abitudini messe in pausa dal coronavirus non ripartirebbero come se nulla fosse, ma allenterebbero la tensione e non permetterebbero, come comunemente creduto dai soveratesi, di raggiungere il vicino centro commerciale di Montepaone, se non per l’acquisto di beni di prima necessità non reperibili nella cittadina. La soluzione al problema, per citare un caso, di persone con particolari intolleranze alimentari che non riescono a farsi consegnare a domicilio ciò di cui hanno bisogno.
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