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Appalti boschivi e agguati fra Vibo e Catanzaro: il "Supremo" chiamò tutti a rapporto

Luigi Mancuso

Una terra di confini e di interessi, quelli legati al settore boschivo. Una miniera d’oro per le cosche operanti tra le Preserre catanzaresi e quelle vibonesi, che piazzando ditte a loro vicine sarebbero riuscite a monopolizzare il comparto e a manovrare gli appalti facendo leva su amministratori comunali, funzionari regionali e agronomi compiacenti.

E proprio a cavallo tra le due province - si legge la Gazzetta del Sud in edicola - si sarebbero accentrati gli affari legati al settore boschivo di tre cosche: Iozzo (con competenze su Chiaravalle Centrale, San Vito sullo Jonio, Gagliato e Petrizzi); Bruno (Vallefiorita, Amaroni, Girifalco, Palermiti, Squillace, Olivadi, Centrache) e Anello (Filadelfia, Polia, Monterosso Calabro, Capistrano).

’Ndrine che, in una sorta di patto cooperativo, avrebbero mantenuto il controllo sulle aree boschive di Cenadi, territorio confinante con i vari comuni e quindi ritenuto di «competenza collettiva». Una suddivisione degli appalti che sarebbe stata rispettata sino alla morte del capobastone di Vallefiorita Giovanni Bruno (detto ‘U boss) – ucciso nel maggio del 2010 – e in seguito fino alla morte (febbraio 2013) di Giuseppe Bruno, fratello di Giovanni al quale era subentrato.

Affari dunque, ma anche spietati agguati. Faide combattute tra i boschi delle Preserre del versante ionico e tirrenico calabrese. Un vero e proprio campo di battaglia su cui nel settembre 2009 cadde Damiano Vallelunga, boss dei Viperari, mentre Rocco Anello, boss di Filadelfia, scampò a morte sicura. Alla fine della lunga stagione di sangue – come emerge dall’inchiesta “Imponimento” – il capo del crimine vibonese, ovvero il boss dei boss Luigi Mancuso (non a caso detto il Supremo) una volta scarcerato avrebbe riunito tutti i capi cosca esortandoli a evitare conflitti con le altre famiglie e ad agire esclusivamente nel proprio territorio di competenza.

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