Non ricorda proprio tutto con precisione perché di «magagne» ne ha fatte tante e, ormai, sono passati 5 anni da quando ha iniziato a collaborare con la giustizia. All’epoca l’ex boss Andrea Mantella aveva un quadro chiaro di tutte le estorsioni che «chiudeva», ma comunque in collegamento con l’aula bunker di “Rinascita-Scott” ricostruisce come funzionava il sistema negli anni in cui «i giornali scrivevano che Vibo era come Beirut». C’erano ragazzi usati come manovalanza dal clan Lo Bianco-Barba – in cui Mantella è cresciuto per poi creare il suo gruppo autonomo in chiave anti-Mancuso – per le intimidazioni a imprenditori e commercianti. Poi c’erano figure che avevano ruolo e importanza diversi, perché facevano da mediatori tra chi pagava per stare tranquillo e chi i soldi li intascava. Era questa, secondo il pentito, la funzione di Gianfranco Ferrante, uno dei principali indagati, che sarebbe stato la «banca d’Italia della ’ndrangheta vibonese» e avrebbe fatto del suo Cin Cin Bar «un punto di ritrovo» per alcuni esponenti di primo piano della malavita.
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