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L’assassinio dei coniugi Aversa a Lamezia: i sicari in azione in cambio di una partita di droga

Ci sono voluti tre procedimenti giudiziari prima di arrivare a ricostruire la verità su quell’orrendo crimine

Salvatore Aversa e Lucia Precenzano non hanno avuto pace nemmeno da morti. Un paio di mesi dopo il duplice omicidio qualcuno, probabilmente su commissione, profanò la loro tomba nel cimitero di Castrolibero. Il dolore provocato ai familiari dei coniugi, poliziotto di grande esperienza lui e stimata docente lei, si è protratto però ancora a lungo, perché la vicenda giudiziaria scaturita dall’assassinio è durata per circa un ventennio. Lo Stato, insomma, non ha affatto dato una risposta chiara e veloce all’uccisione di un suo servitore e della moglie.
Era l’inizio del 1992 e Lamezia veniva da mesi difficili: a settembre dell’anno precedente c’era stato il primo scioglimento del consiglio comunale per mafia, a maggio ’91 un altro efferato duplice omicidio, quello dei netturbini Francesco Cristiano e Pasquale Tramonte.

L’assassinio dei coniugi Aversa si è verificato poco dopo le 18 del 4 gennaio in una via centralissima che, all’epoca, si chiamava via dei Campioni e che oggi porta il nome delle due vittime. Le forze dell’ordine, intervenute sul luogo di un delitto avvenuto in pieno giorno, due giorni prima dell’Epifania e in un luogo non certo isolato, si affidarono innanzitutto ai possibili testimoni oculari e proprio da qui ebbe origine l’abbaglio giudiziario che ne seguì. Del duplice omicidio furono accusati Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro, arrestati il 27 gennaio 1992. Condannati in primo grado (Rizzardi all’ergastolo e Molinaro a 25 anni) nel secondo processo (1994), perché il primo era stato annullato per vizio di forma, sono stati poi assolti in secondo grado nel 1995, ma la Cassazione ha annullato con rinvio l’Appello. Nel frattempo Molinaro, nel giugno del 1997, è morto dopo aver ingoiato una dose di cocaina per evitare un controllo. Poi però anche l’Appello bis, nel 2002, ha sancito l’assoluzione per Rizzardi, diventata definitiva nel 2006.
Già qualche anno prima si erano autoaccusati del delitto due pugliesi: Stefano Speciale e Salvatore Chirico, appartenenti alla Sacra Corona Unita. Avrebbero accettato l’incarico per sdebitarsi di una partita di droga da 60 milioni di lire non pagata a un clan di San Luca. I Giorgi erano legati a doppio filo con i Giampà-Torcasio di Lamezia che, dunque, avrebbero ingaggiato i killer attraverso i sanlucoti.

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