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Vibo, la sentenza “Rimpiazzo”: i giovani «sanguinari» e i «vecchi volponi»

Dai rapporti con Polsi allo scontro con i Mancuso

La presidente di sezione del Tribunaledi Vibo Valentia, Tiziana Macrì

Omicidi, intimidazioni, estorsioni, danneggiamenti, gambizzazioni, rapine, narcotraffico. È un vasto «programma criminale» quello che è emerso «in maniera univoca» dal processo scaturito dall’inchiesta “Rimpiazzo” della Dda di Catanzaro: 75 capi d’imputazione per 34 imputati, 20 dei quali condannati e 12 assolti - 2 non luogo a procedere - in primo grado con il rito ordinario lo scorso 11 aprile dal Tribunale di Vibo. Tra questi la pena più alta è quella di Rosario Battaglia, 38enne a cui sono stati inflitti 28 anni di carcere.
Lo scorso 7 luglio sono state depositate le motivazioni della sentenza in cui la presidente del collegio, Tiziana Macrì, certifica l’esistenza e ripercorre la storia, le alleanze e i crimini commessi dal “nuovo” locale dei Piscopisani che aveva il suo feudo nella frazione alle porte di Vibo. Ne emerge «in modo incontrovertibile il ruolo organizzativo e dirigenziale di Battaglia», secondo il giudice «esplicato sia all'esterno del sodalizio che nei confronti degli accoliti».
“Sarino” Battaglia era al vertice ma lui, ha spiegato lo stesso Moscato rispondendo alle domande del pm, «non ha ruoli, Battaglia è Battaglia». Il suo ruolo verticistico «emerge anche nell'organizzazione di fatti di sangue». Come l’omicidio del boss di Stefanaconi Fortunato Patania, responsabile di aver ucciso un agricoltore, per altro imparentato con uno dei Piscopisani, nel loro territorio: «Fortunato Patania – dice Moscato – doveva morire entro le 48 ore, subito, perché se fosse stato per i Piscopisani moriva dopo un'ora, però eravamo senza macchina e senza niente, quindi ci organizziamo…».
Ci sono cinque pentiti le cui dichiarazioni sono risultate fondamentali: Raffaele Moscato, organico ai Piscopisani, che ha ammesso di aver fatto «la qualunque, dalla A alla Z»; Andrea Mantella e Bartolomeo Arena, appartenenti a clan alleati, il primo a capo di un gruppo che come loro non voleva sottostare ai Mancuso; Daniele Bono e Loredana Patania, intranei a un clan rivale, quello dei Patania, che con la regia occulta di Pantaleone Mancuso (“Scarpuni”) ingaggiò una sanguinosa faida contro di loro.

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