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Inchiesta “Glicine Acheronte”, a Crotone le soffiate alla cosca dei Papaniciari: Affiliati “informati” prima del blitz

L’inquietante spaccato ricostruito dagli inquirenti. Nel 2010 il boss Megna si allontanò per timore di un’operazione

Acquisizione di informazioni, talpe tra le forze dell'ordine e rifugi notturni. I componenti della cosca Megna di Papanice facevano di tutto per sfuggire alle indagini. Tant'è che in occasione del blitz "Tisifone" del 20 dicembre 2018 (conclusosi in Cassazione con 15 condanne definitive), alcuni affiliati al clan seppero in anticipo dei 23 fermi che da lì a breve sarebbero stati eseguiti dai poliziotti della Squadra Mobile di Crotone. Si tratta dell'inquietante spaccato ricostruito dalla Procura antimafia di Catanzaro con l'inchiesta "Glicine Acheronte", venuta alla luce lo scorso martedì con 43 arresti messi a segno dai carabinieri. L'operazione da un lato ha scardinato la ’ndrina dei papaniciari che s'era riorganizzata dopo la scarcerazione - nel 2014 - del boss Mico Megna; dall'altro, è servita a smantellare il presunto gruppo affaristico che per anni avrebbe gestito le istituzioni pubbliche per fini elettorali.
E così, la capacità della ’ndrina di acquisire notizie su possibili investigazioni emerse il 19 giugno 2018. In quella circostanza Mario Megna, il nipote del capobastone finito in carcere, venne intercettato mentre parlava con un esperto di videosorveglianza in località Poggio Pudano, a Crotone. Il braccio destro del boss chiese al tecnico se anche a Papanice fossero stati installati i sensori ambientali di nuova generazione così come a Cutro. «Ma a Papanice non credo... ci sono ancora i 360 gradi», la risposta dell'esperto. Invece «un dato estremamente importante» - lo definiscono i pm della Dda, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio - emerse il 12 dicembre 2018 quando Mario Megna riferì a Cesare Carvelli (anche lui tra gli arrestati) che «una sua "fonte" gli aveva dato dettagli sull'esistenza di un'indagine» a carico dei papaniciari: «Ancora non hanno niente - le parole di Megna - quattro intercettazioni hanno...siamo sotto indagine...però ancora non hanno niente». E alla domanda di Carvelli sull'identità degli indagati, Mario Megna fu netto: «Non lo so, il nome non me lo ha detto... ancora per non tengono proprio niente». Ma la riprova dell'esistenza di "gole profonde" in grado di fornire aggiornamenti su indagini, si ebbe in occasione delle manette scattate con "Tisifone", in quanto sia Mico Megna che Mario Megna, informati dell'imminente blitz, trascorsero la notte lontano da casa «per poi, la mattina successiva, verificare quanto stava accadendo». Infatti Mario Megna, qualche ora dopo i fermi, disse ad un ignoto interlocutore chi tra i papaniciari fosse risultato coinvolto nell'operazione: ossia, Cesare Carvelli e Rocco Devona.

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