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Catanzaro, ecco chi comandava il clan degli zingari

La Dda ha ricostruito l’organigramma dell’organizzazione che controllava il territorio

«Un controllo capillare del territorio», così la Dda di Catanzaro sintetizza il potere che si era conquistato il “clan degli zingari” Passalacqua - Bevilacqua. Partiti dall’enclave rom di viale Isonzo erano riusciti dapprima a diventare il braccio operativo su Catanzaro dei casati di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto e poi a conquistare una certa autonomia nei traffici di droga e anche nelle estorsioni ai danni delle imprese del capoluogo. Nel capo di imputazione che ricostruisce l’organigramma della cosca rom i pm Debora Rizza e Paolo Sirleo sottolineano la «forza intimidatrice» e la condizione di «assoggettamento ed omertà» della cittadinanza. Così il gruppo avrebbe avuto la possibilità di «commettere una serie indeterminata di delitti, tra cui estorsioni, omicidi, danneggiamenti, detenzione e porto illegale di armi, traffico di sostanze stupefacenti». Ma il clan degli zingari, si legge sempre nel capo di imputazione, sarebbe anche riuscito ad acquisire «la gestione o comunque il controllo di attività economiche», e soprattutto a ingerirsi «nella vita politica locale».
I pm della Dda hanno ricostruito anche ruoli e gerarchie all’interno del gruppo criminale di cui avrebbero fatto parte anche Paolo Lentini e Cosimino Abbruzzese per il quale si è deciso di procedere separatamente. Un ruolo di capo lo avrebbe avuto Luigi Vecceloque Pereloque, alias U Marocchino. In contatto con la cosca Arena, partecipava ai summit assieme a Cosimino Abbruzzese detto U Tubu e Massimo Bevilacqua. Per la Dda sarebbe stato U Marocchino a indicare le vittime da colpire «verificando se gli imprenditori fossero sottoposti alla protezione dei clan isolitani, in modo da non scompaginare gli assetti tra il gruppo degli “zingari” e quello degli “italiani” di Isola Capo Rizzuto». Sarebbe riuscito a mantenere le redini del clan anche durante la sua latitanza. Alle riunioni avrebbe trovato posto anche Massimo Bevilacqua alias Malloccio. Per l’accusa «pianificava i reati contro il patrimonio; coordinava le piazze di spaccio di stupefacenti assicurando il controllo del territorio». Poteva addirittura vantare la dote da Santista suo fratello Luciano.

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