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Catanzaro, incendio alla scuola dell'Aranceto: quel filo rosso tra l’inchiesta della Dda e gli attentati

Solo pochi giorni fa è stata notificata la chiusura delle indagini sul “clan degli zingari”

C’è una strana coincidenza temporale che sembra collegare i recenti attentati alle imprese catanzaresi e l’ultima indagine della Dda che ha svelato il salto di qualità del cosiddetto “clan degli zingari”. Il 19 aprile la Polizia con il coordinamento della Dda di Catanzaro ha notificato 62 arresti. Un blitz scattato all’alba con centinaia di agenti che hanno cinto d’assedio il fortino della criminalità rom nella periferia sud del capoluogo calabrese. Per la prima volta a Catanzaro è stata contestata l’associazione mafiosa ad un gruppo di etnia rom. L'indagine ha documentato come la criminalità rom sia passata da manovalanza nelle mani dei più importanti casati di ’ndrangheta, a gruppo criminale autonomo capace di imporre «la pressione tipica delle organizzazioni mafiose» su gran parte di Catanzaro. A poche settimane da quell’operazione si erano verificate alcune intimidazioni alle imprese impegnate nei cantieri della città. Tra le vittime anche un imprenditore che figurava tra le parti offese dell’inchiesta.
Tre mesi più tardi la storia sembra ripetersi. Il 27 ottobre la Dda ha chiuso le indagini a carico di 82 indagati ricostruendo decine di atti intimidatori e minacce che avevano l’obiettivo di costringere gli imprenditori a pagare. Pochi giorni dopo la notizia della conclusione delle indagini sono tornate le fiamme.
Anche in questo caso hanno colpito uno degli imprenditori che con coraggio aveva denunciato le intimidazioni subite dalla criminalità rom. Nelle carte dell’inchiesta si racconta che il titolare dell’impresa aveva prima subito il furto di 700 litri di gasolio e di attrezzi da lavoro. Poi aveva trovato una bottiglia con liquido infiammabile per costringerlo a cedere alle richieste estorsive. L’imprenditore si era invece rivolto alle forze dell’ordine. Agli investigatori della Squadra Mobile aveva raccontato che quando la sua ditta era impegnata in un appalto pubblico, dopo aver ricevuto numerose “visite” notturne, aveva installato sistemi di allarme e videocamere di sorveglianza sul cantiere. Non era però bastato. Così si era rivolto anche alle autorità locali per chiedere l'attivazione di servizi mirati al controllo dell'intera area. Alla fine lui, il fratello e alcuni dipendenti si erano organizzati in turni per dormire in auto all'interno del cantiere per controllare il materiale.

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