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«Quella testa
è di Bernini»

 

Quella testa di marmo la conosce a memoria, per lui non ha segreti. L'ha esaminata così tante volte, che ormai non ricorda neanche quante. E questo perché da subito, da quando dieci anni fa la trovò tra le rovine del monumentale convento di San Domenico a Soriano Calabro, nel Vibonese, qualcosa scattò nella sua testa e lo convinse, che quella testa di Santa Caterina da Siena, anche se in pessimo stato di conservazione, non era una testa qualsiasi, bensì è una delle opere del geniale scultore barocco Gian Lorenzo Bernini. Ma prudentemente Mario Panarello, 43 anni, docente a contratto di Restauro e Diagnostica dei Beni Culturali presso l'Università di Cosenza, la catalogò assegnandola alla cerchia del Bernini e di Cosimo Fanzago.
Ma per il prof. Panarello la questione rimaneva aperta e così dopo altri quattro anni di studi, che ha condensato nel volume Il grande cantiere del santuario di San Domencio di Soriano. Scultura, marmi e argenti, edito da Rubbettino, ha rotto gli indugi e compiuto il grande salto dell'attribuzione: no, quella testa non è di ambito berniniano, bensì è proprio di Gian Lorenzo Bernini. Una bomba, che è deflagrata nel campo degli storici dell'arte facendo il giro del mondo in poco tempo, per merito anche del "Corriere della Sera", che nel suo inserto domenicale "La Lettura", ha dedicato ben due pagine all'importante scoperta ed attribuzione.Prof. Panarello, quando ha cominciato ad occuparsi del convento di San Domenico di Soriano?«Nel lontano 1991 visitai per la prima volta i ruderi del complesso monastico e rimasi colpito per la monumentalità delle strutture superstiti, nonché per la quantità dei frammenti marmorei disseminati ovunque. Nel 1995 iniziai ad occuparmi in modo più attento delle problematiche artistico-architettoniche del convento, studi che portarono alla pubblicazione di una serie di contributi. Riuscii a stabilire, fra le altre cose, che l'altare secentesco era stato realizzato su progetto dell'architetto romano Martino Longhi, mentre quello settecentesco fu compiuto con il concorso di numerosi artisti napoletani. Mi convinsi che le ricerche condotte precedentemente da altri studiosi avessero bisogno di approfondimenti a Roma e Napoli. Un'intensa indagine d'Archivio portò alla pubblicazione di un primo volume nel 2001 presso la casa editrice Rubbettino, dove sono confluite gran parte delle mie ricerche. Attraverso l'esplorazione di fonti antiche e di documenti è stato possibile ricostruire nelle linee essenziali i grandi momenti artistici del santuario fra Seicento e Settecento, facendo emergere le eclatanti notizie di un possibile contributo di Guarino Guarini dopo il sisma del 1659 e la probabile consulenza architettonica di Francesco Borromini». Come è entrato in contatto con la testa di Santa Caterina da lei attribuita al grande Bernini? «Intorno al 2006, in occasione del restauro di numerosi brani scultorei, segnalai, in qualità di consulente scientifico ed in seguito responsabile della progettazione e dell'allestimento del Museo, la necessità di restaurare, insieme ad altri importanti reperti, una testa superstite di Santa Caterina da Siena. L'opera, rimasta per circa duecento anni esposta alle intemperie, era ricoperta da una patina che ha contribuito alla calcinazione della superficie. Il restauro ha messo in rilievo la qualità di alcuni dettagli, pochi considerando che il volto è scheggiato in più punti, mentre è andata perduta la sezione inferiore del torso, infatti è emersa nella parte sottostante una porzione di superficie levigata la quale ha confermato che in origine il frammento appartenesse a un busto e non a una statua. Nonostante l'opera apparisse fortemente danneggiata i dettagli leggibili evidenziavano la mano di uno scultore non comune: lo straordinario serto di spine che compone la corona, un saggio di naturalismo di estrema raffinatezza, la dimensione estatica dello sguardo, la qualità considerevole di altri piccoli dettagli mi hanno indotto a pensare senza esitazione che si trattasse di un'opera berniniana. Uno studio più attento ha, tuttavia, rilevato alcune divergenze con la produzione del noto artista: il carattere statico del volto, il suo effetto sfumato, unitamente alla resa plastica di alcuni frammenti di panneggio, mi hanno spinto a confrontare l'opera con alcune realizzazioni di François Du Quesnoy (1587-1643), un accostamento che non dirime la questione dell'attribuzione, ma colloca il brano nel catalogo di altre sculture coeve riguardo alle quali la moderna storiografia preferisce parlare di atelier di Bernini. Si tratta dunque di un'opera problematica sulla quale non mi sentirei, tuttavia, di escludere un apporto del grande artista barocco». Cosa l'ha convinta di trovarsi dinanzi ad un'opera del geniale artista?«Sono convito che si tratta di un'opera berniniana, ma è estremamente difficile stabilire con certezza la paternità di Bernini. La condizione frammentaria e lo stato di degrado non consentono di cogliere l'opera nella sua interezza e come dicevo è scomparsa anche la patina originaria. Tuttavia è ragionevole pensare che il busto sia stato realizzato dal maestro insieme a un suo collaboratore o comunque prodotto dell'atelier romano. Tuttavia alcuni dettagli sono indicativi della qualità e dello stile di Gianlorenzo Bernini». Può dirci per grandi linee che tipo di intervento sta effettuando a Soriano?«Soriano è stato un grande cantiere barocco e nonostante la sua condizione riesce ancora a esprimere decisamente il carattere degli spazi architettonici e attraverso le opere marmoree, in gran parte frammentarie, la ricchezza e la centralità di questo luogo, sia sul piano religioso che su quello artistico. Occupandomi di Storia dell'Arte in particolare del Sei e Settecento nella regione, con una specifica attenzione sui rapporti fra centri e periferia, non è possibile non considerare l'esperienza di Soriano. Per decenni molti studiosi hanno quasi trascurato ingiustamente l'indagine delle rovine, ma uno studio metodico e alquanto lungo ha permesso di ricostruire una flebile immagine di quanto è stato perduto e grazie a questo approfondimento ho potuto allestire il Museo dei Marmi che conserva i frammenti più significativi recuperati, muti testimoni delle principali fasi degli interventi decorativi soprattutto della grande chiesa conventuale. Frutto anche della sensibilità dell'attuale sindaco Francesco Bartone che non perde occasione per promuovere questo nuovo polo museale e più in generale i programmi culturali di questo centro. L'auspicio è quello che si possa continuare nel lavoro di valorizzazione della storia di Soriano con la volontà di esaltare l'identità del luogo, importante non solo per la Calabria. Si spera allora che il complesso di Soriano possa diventare un vero centro culturale, non dimenticando che qui opera una delle più prestigiose biblioteche regionali, diretta fino a qualche giorno fa dal compianto Nicola Provenzano». Dove è esposto l'importante frammento? «Il frammento è esposto nel Museo dei Marmi – Mumar - e costituisce uno dei fulcri attrattivi insieme al busto di San Domenico, attribuito a Giuliano Finelli, e a quello pure seicentesco raffigurante San Tommaso d'Aquino».

di Marcello Mento

Quella testa di marmo la conosce a memoria, per lui non ha segreti. L'ha esaminata così tante volte, che ormai non ricorda neanche quante. E questo perché da subito, da quando dieci anni fa la trovò tra le rovine del monumentale convento di San Domenico a Soriano Calabro, nel Vibonese, qualcosa scattò nella sua testa e lo convinse, che quella testa di Santa Caterina da Siena, anche se in pessimo stato di conservazione, non era una testa qualsiasi, bensì è una delle opere del geniale scultore barocco Gian Lorenzo Bernini. Ma prudentemente Mario Panarello, 43 anni, docente a contratto di Restauro e Diagnostica dei Beni Culturali presso l'Università di Cosenza, la catalogò assegnandola alla cerchia del Bernini e di Cosimo Fanzago.

 

Ma per il prof. Panarello la questione rimaneva aperta e così dopo altri quattro anni di studi, che ha condensato nel volume Il grande cantiere del santuario di San Domencio di Soriano. Scultura, marmi e argenti, edito da Rubbettino, ha rotto gli indugi e compiuto il grande salto dell'attribuzione: no, quella testa non è di ambito berniniano, bensì è proprio di Gian Lorenzo Bernini. Una bomba, che è deflagrata nel campo degli storici dell'arte facendo il giro del mondo in poco tempo, per merito anche del "Corriere della Sera", che nel suo inserto domenicale "La Lettura", ha dedicato ben due pagine all'importante scoperta ed attribuzione.Prof. Panarello, quando ha cominciato ad occuparsi del convento di San Domenico di Soriano?«Nel lontano 1991 visitai per la prima volta i ruderi del complesso monastico e rimasi colpito per la monumentalità delle strutture superstiti, nonché per la quantità dei frammenti marmorei disseminati ovunque. 

Nel 1995 iniziai ad occuparmi in modo più attento delle problematiche artistico-architettoniche del convento, studi che portarono alla pubblicazione di una serie di contributi. Riuscii a stabilire, fra le altre cose, che l'altare secentesco era stato realizzato su progetto dell'architetto romano Martino Longhi, mentre quello settecentesco fu compiuto con il concorso di numerosi artisti napoletani. Mi convinsi che le ricerche condotte precedentemente da altri studiosi avessero bisogno di approfondimenti a Roma e Napoli. Un'intensa indagine d'Archivio portò alla pubblicazione di un primo volume nel 2001 presso la casa editrice Rubbettino, dove sono confluite gran parte delle mie ricerche. Attraverso l'esplorazione di fonti antiche e di documenti è stato possibile ricostruire nelle linee essenziali i grandi momenti artistici del santuario fra Seicento e Settecento, facendo emergere le eclatanti notizie di un possibile contributo di Guarino Guarini dopo il sisma del 1659 e la probabile consulenza architettonica di Francesco Borromini». 

Come è entrato in contatto con la testa di Santa Caterina da lei attribuita al grande Bernini? «Intorno al 2006, in occasione del restauro di numerosi brani scultorei, segnalai, in qualità di consulente scientifico ed in seguito responsabile della progettazione e dell'allestimento del Museo, la necessità di restaurare, insieme ad altri importanti reperti, una testa superstite di Santa Caterina da Siena. L'opera, rimasta per circa duecento anni esposta alle intemperie, era ricoperta da una patina che ha contribuito alla calcinazione della superficie. Il restauro ha messo in rilievo la qualità di alcuni dettagli, pochi considerando che il volto è scheggiato in più punti, mentre è andata perduta la sezione inferiore del torso, infatti è emersa nella parte sottostante una porzione di superficie levigata la quale ha confermato che in origine il frammento appartenesse a un busto e non a una statua. Nonostante l'opera apparisse fortemente danneggiata i dettagli leggibili evidenziavano la mano di uno scultore non comune: lo straordinario serto di spine che compone la corona, un saggio di naturalismo di estrema raffinatezza, la dimensione estatica dello sguardo, la qualità considerevole di altri piccoli dettagli mi hanno indotto a pensare senza esitazione che si trattasse di un'opera berniniana. Uno studio più attento ha, tuttavia, rilevato alcune divergenze con la produzione del noto artista: il carattere statico del volto, il suo effetto sfumato, unitamente alla resa plastica di alcuni frammenti di panneggio, mi hanno spinto a confrontare l'opera con alcune realizzazioni di François Du Quesnoy (1587-1643), un accostamento che non dirime la questione dell'attribuzione, ma colloca il brano nel catalogo di altre sculture coeve riguardo alle quali la moderna storiografia preferisce parlare di atelier di Bernini. Si tratta dunque di un'opera problematica sulla quale non mi sentirei, tuttavia, di escludere un apporto del grande artista barocco». Cosa l'ha convinta di trovarsi dinanzi ad un'opera del geniale artista?«Sono convito che si tratta di un'opera berniniana, ma è estremamente difficile stabilire con certezza la paternità di Bernini. La condizione frammentaria e lo stato di degrado non consentono di cogliere l'opera nella sua interezza e come dicevo è scomparsa anche la patina originaria. Tuttavia è ragionevole pensare che il busto sia stato realizzato dal maestro insieme a un suo collaboratore o comunque prodotto dell'atelier romano. Tuttavia alcuni dettagli sono indicativi della qualità e dello stile di Gianlorenzo Bernini». Può dirci per grandi linee che tipo di intervento sta effettuando a Soriano?«Soriano è stato un grande cantiere barocco e nonostante la sua condizione riesce ancora a esprimere decisamente il carattere degli spazi architettonici e attraverso le opere marmoree, in gran parte frammentarie, la ricchezza e la centralità di questo luogo, sia sul piano religioso che su quello artistico. Occupandomi di Storia dell'Arte in particolare del Sei e Settecento nella regione, con una specifica attenzione sui rapporti fra centri e periferia, non è possibile non considerare l'esperienza di Soriano. Per decenni molti studiosi hanno quasi trascurato ingiustamente l'indagine delle rovine, ma uno studio metodico e alquanto lungo ha permesso di ricostruire una flebile immagine di quanto è stato perduto e grazie a questo approfondimento ho potuto allestire il Museo dei Marmi che conserva i frammenti più significativi recuperati, muti testimoni delle principali fasi degli interventi decorativi soprattutto della grande chiesa conventuale. Frutto anche della sensibilità dell'attuale sindaco Francesco Bartone che non perde occasione per promuovere questo nuovo polo museale e più in generale i programmi culturali di questo centro. L'auspicio è quello che si possa continuare nel lavoro di valorizzazione della storia di Soriano con la volontà di esaltare l'identità del luogo, importante non solo per la Calabria. Si spera allora che il complesso di Soriano possa diventare un vero centro culturale, non dimenticando che qui opera una delle più prestigiose biblioteche regionali, diretta fino a qualche giorno fa dal compianto Nicola Provenzano». Dove è esposto l'importante frammento? «Il frammento è esposto nel Museo dei Marmi – Mumar - e costituisce uno dei fulcri attrattivi insieme al busto di San Domenico, attribuito a Giuliano Finelli, e a quello pure seicentesco raffigurante San Tommaso d'Aquino».

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