Eugenio Bonaddio vorrebbe che questi giorni di maggio non arrivassero mai. «Sento ancora nelle orecchie il fischio dei colpi di kalashnikov che hanno ucciso i miei colleghi». Erano Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano, i due netturbini uccisi a Lamezia esattamente 31 anni fa. Mentre Bonaddio racconta quei terrificanti «dieci secondi» al suo fianco c’è Francesco Cristiano, fratello di una delle due vittime innocenti uccise dalle cosche per lanciare un agghiacciante segnale sul business della spazzatura. Lancia l’ennesimo appello a riaprire le indagini. Allo stesso tavolo c’è Martino, papà di Filippo Ceravolo, ucciso a 19 anni, nel Vibonese, perché aveva chiesto un passaggio al vero obiettivo dei killer dei clan delle Preserre. Questo padre coraggio sferza la politica: «Basta chiacchiere. Decida da che parte stare». Della sua zona è originario Rocco Mangiardi, che nel 2009 ha puntato il dito in Tribunale contro chi voleva estorcere il frutto del suo lavoro. Oggi ammette: «Quando parlo ai ragazzi cerco di infondere speranza. Ma c’è qualcosa che non dico: celo la solitudine del testimone di giustizia. Quello che si vede non è». Vicino a lui don Giacomo Panizza, costretto a combattere contro le intimidazioni, ma anche con la violenza del pregiudizio e dell’indifferenza verso le persone deboli di cui si prende cura.
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