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Operazione Coccodrillo, gli imprenditori Lobello respingono le accuse

Antonio Lobello, Giuseppe Lobello e Daniele Lobello, sono accusati di intestazione fittizia di beni realizzati attraverso un sistema di società, formalmente intestate a terzi, e tuttavia da loro controllate e gestite al fine di sottrarre il proprio patrimonio aziendale all’adozione di prevedibili misure di prevenzione antimafia

Tribunale di Catanzaro

Hanno respinto le accuse negando ogni addebito gli imprenditori Lobello coinvolti nell'inchiesta "Coccodrillo" diretta dalla Procura Distrettuale di Catanzaro e condotta dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria/Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro, che ha evidenziato un grave quadro indiziario a carico degli imprenditori catanzaresi Antonio Lobello, Giuseppe Lobello e Daniele Lobello, in ordine a plurimi reati di intestazione fittizia di beni, realizzati attraverso un sistema di società, formalmente intestate a terzi, e tuttavia dagli stessi controllate e gestite, e ciò al fine di sottrarre il proprio patrimonio aziendale all’adozione di prevedibili misure di prevenzione antimafia

Giuseppe Lobello è stato il primo a comparire davanti al Giudice per essere interrogato. Difeso dagli avvocati Enzo De Caro e Armodio Migali, Giuseppe Lobello ha dichiarato di voler rispondere a tutte le domande del Gip allo scopo di poter chiarire la sua posizione processuale. All'imprenditore il giudice ha posto diverse domande e Lobello ha risposto puntualmente chiarendo ogni volta la sua posizione e la versione dei fatti così come si sono svolti. Lobello ha anche dichiarato che nel tempo ha subìto diversi incendi dei mezzi e furti negli uffici e nella sua abitazione, tutti regolarmente denunciati alle Forze dell'Ordine. A conclusione dell'interrogatorio Giuseppe Lobello si è dichiarato innocente delle contestazioni a lui mosse e si è riservato tramite i suoi avvocati (del collegio difensivo fanno parte gli avvocati Davide e Maria Laura De Caro) di produrre ulteriore documentazione a conforto delle dichiarazioni rese.

Successivamente è stato interrogato Antonio Lobello, padre degli indagati, assistito dagli avvocati Enzo De Caro e Piero Mancuso, il quale si è dichiarato disponibile a rispondere alle domande del giudice e ha così chiarito la sua posizione dimostrando comunque con evidenza i segni di sofferenza dovuti alle sue precarie condizioni di salute.

Infine è comparso Daniele Lobello, assistito dagli avvocati Enzo De Caro e Piero Mancuso, il cui interrogatorio è stato molto lungo, perché l'imprenditore ha risposto a tutte le domande poste dal giudice e dal pubblico ministero, chiarendo soprattutto le contestazioni relative ai movimenti di denaro avvenuti tra le diverse società dei Lobello tanto allo scopo di giustificare la legittimità e correttezza dei movimenti bancari avvenuti tra le diverse società e che, apparentemente, potrebbero risultare sospetti. Sul punto Daniele Lobello ha evidenziato, in particolare, che alcuni spostamenti di denaro, peraltro documentati e tracciabili, si rendevano necessari perché la società che aveva effettuato dei lavori e aveva ottenuto il corrispettivo di pagamento, doveva a sua volta provvedere ai pagamenti delle forniture ricevute, dei materiali acquistati e dei lavori che erano stati effettuati da altre società del gruppo che erano pertanto creditrici. Anche Daniele Lobello si è riservato di dimostrare tramite l'esibizione di documentazione bancaria e fiscale la veridicità delle sue affermazioni.

Tutti gli imputati dopo aver risposto a tutte le domande poste dal Gip, Valeria Isabella Valenzi, hanno risposto anche alle domande poste dal pm, Veronica Calcagno, e, in particolare, dai difensori Enzo De Caro, Piero Mancuso e Davide De Caro.

I difensori hanno doverosamente precisato che «nessuno degli imputati risponde del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, come è stato erroneamente diffuso. Il solo Giuseppe Lobello  risponde di concorso esterno in associazione mafiosa perché, pur non facendone parte organicamente, è accusato di aver fornito un contributo concreto all’associazione. Gli altri due imprenditori Antonio e Daniele Lobello rispondono del reato di intestazione fittizia di beni.
Anche per questi reati il pm aveva chiesto che venisse ritenuta l’aggravante mafiosa, ma il Gip  nell’ordinanza emessa ha ritenuto di escludere espressamente l’aggravante mafiosa».

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