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Autobomba a Limbadi, chiesto il rinvio a giudizio per cinque imputati - Le foto

E' stata fissata per il prossimo 7 giugno l'udienza preliminare - davanti al gup di Catanzaro - a carico di cinque imputati per i quali il pm distrettuale Andrea Mancuso ha chiesto il rinvio a giudizio in relazione alla potente autobomba che, il 9 aprile dello scorso anno, uccise a Limbadi il biologo Matteo Vinci e ferì gravemente il padre Francesco, obiettivo quest'ultimo anche di precedenti e feroci aggressioni.

Omicidio, tentato omicidio – entrambi aggravati dalla premeditazione, dai motivi abietti e futili, nonché per la morte di Matteo "per aver agito con crudeltà verso le persone" – detenzione e porto illegale di esplosivo, lesioni personali, armi e tentata estorsione, i reati, tutti aggravati dalle modalità mafiose, che vengono contestati agli imputati  il 26 giugno del 2018 coinvolti nell’operazione “Demetra” condotta dai carabinieri della Compagnia di Tropea e del Comando provinciale di Vibo con il coordinamento della Dda di Catanzaro.

In particolare l’omicidio di Matteo Vinci e il tentato omicidio del padre Francesco viene contestato a Rosaria Mancuso, 64 anni di Limbadi (sorella di alcuni boss dell’omonima cosca), difesa  dall'avvocato Francesco Capria, al genero Vito Barbara, di 28, di Serra (avvocato Giovanni Vecchio e avvocato Fabrizio Costarella) e a Lucia Di Grillo, di 29 (avvocato Vecchio e avvocato Costarella), figlia della Mancuso e moglie di Barbara.

La Mancuso, il genero e la figlia Lucia vengono ritenuti «ideatori e promotori del delitto» in concorso con altri soggetti non identificati in quanto «al fine di costringere i coniugi Vinci-Scarpulla a cedere alle loro richieste estorsive» avrebbero «concordato e disposto» che altri collocassero e facessero esplodere una radio-bomba in località Macrea.

A Barbara, alla Mancuso e al marito Domenico Di Grillo, 71 anni (avvocato Capria e avvocato Antonino Carmelo Naso) viene contestato il tentato omicidio di Francesco Vinci, nell’ottobre del 2017 – colpito ripetutamente con un’ascia (che avrebbe brandito Di Grillo) e un forcone (che avrebbe usato Barbara) – mentre Rosaria Mancuso li avrebbe incitati gridando: «Ammazzatelo, ammazzatelo!».

Nel marzo del 2014 invece le lesioni a Scarpulla e Vinci il quale sarebbe stato bloccato e trattenuto per le braccia dalla Mancuso e dalle figlie Lucia e Rosina Di Grillo, quest’ultima di 37 anni (avvocato Naso) «consentendo – scrive il pm – agli altri familiari di colpirlo al volto, alle gambe e alle braccia e poi scagliandosi contro Rosaria Scarpulla colpendola al volto».

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